Era
la fine del VII secolo a.C. e a Roma regnava Anco
Marzio. Secondo quanto ci tramandano Tito Livio e Dionigi di
Alicanasso, i Romani sentirono il bisogno di comunicare con le genti
della riva destra del fiume, le cui acque, come linea di confine, erano
il punto di sbarramento oltre il quale soprattutto gli Etruschi, popolo
severo e ben organizzato, attendevano il momento propizio per superare
la corrente limacciosa e portare nella città di Romolo un bagaglio
colmo di esperienze preziose e di saggi insegnamenti. Tale bisogno
indusse lo stesso re Anco
Marzio a realizzare la costruzione del primo ponte di Roma
con l'uso esclusivo di traversine di legno duro, senza l'impiego nè del
ferro nè del bronzo. Su queste travi Orazio Coclite lottò da solo per
impedire all'esercito etrusco di superare il confine naturale di Roma,
di violare la sua intimità privata e di riportare al potere l'espulso
re Tarquinio
il Superbo.
L'avo
dell'attuale ponte Sublicio, risultato di varie ristrutturazioni, fu il
primo a mettere in comunicazione le sponte tiberine e sembra, secondo la
tradizione, che la sua nascita avvenne per opera di barbari che,
raggruppati in colonie, occupavano la sponda destra del Tevere, molti
anni prima della fondazione di Roma. E il rifacimento in legno avvenne
all'epoca di Anco
Marzio, intorno all'anno 614 a.C. Furono le travi in legno
usate, dette nel linguaggio volsco sublicae, che dettero il nome
al ponte. Ritenuto sacro, esso ospitava il 15 maggio di ogni anno un
tiro pagano dl tutto singolare, di cui non è possibile conoscerne
l'origine. Quel giorno una lunga processione di vergini romane seguiva
la vestale Flaminia, sacerdotessa di giove, il pontefice massimo, il
pretore e i sacerdoti lungo le strade della città. Al ponte Sublicio il
corteo si arrestava e Flaminia, con le sue vesti discinte per rendere
palese il proprio stato di dolore, dopo aver legato mani e piedi a 24
fantocci in vimini portati fin li, li gettava nelle acque del fiume uno
dopo l'altro. Tale cerimonia voleva forse ricordare gli Argei o Argivi,
i 30 compagni di Ercole che, spinti dal desiderio di tornare al più
presto da Argo, la patria lontana, chiesero ed ottennero di essere
gettati, almeno dopo morti, nel fiume ed abbandonati alla corrente. Ma
anche uomini vivi si usò gettare nel fiume in sacrificio a Saturno e
diversi martiri subirono la stessa sorte per impedire che i cristiani
dessero loro degna sepoltura. Così finirono S. Ippolito, S. Adria, S.
Ruffina, S. Seconda, oltre agli scultori Castorio e Simplicio, cui fu
riservato un trattamento diverso: rinchiusi in una cassa di piombo e
gettati nel Tevere, furono facile preda della veemenza delle corrente.
Successivamente
al leggendario episodio di Orazio Coclite, la storia del ponte Sublicio
non registra altre notizie di rilievo fino all'anno 122 a.C., quando
Caio Gracco, il più giovane dei famosi "gioielli" di
Cornelia, vide cadere la propria legge con cui proponeva la concessione
della cittadinanza romana ai Latini, e latina agli Italici. I suoi
avversari avevano fatto del tutto per spiegare alla plebe che essa
sarebbe stata stata danneggiata da ulteriori concessioni di cittadinanza
in quanto impedivano che le terre disponibili fossero tutte assegnate a
chi godeva già della cittadinanza stessa . Nell'estate del 122 furono
indetti i comizi elettorali e Caio rimase escluso dal nuovo collegio
tribunizio, che pertanto fu costituito da uomini favorevoli al partito
senatorio.Inoltre dalle elezioni consolari dello stesso anno risultarono
eletti . Fabio Massimo e L. Opimio, il più intransigente della fazione
conservatrice, che propose l'abrogazione di tutte le leggi graccane.
Dalla parte di Caio si pose Fulvio Flacco che si appigliò ai mezzi
rivoluzionari così che scoppiarono i primi sanguinosi conflitti. Il
Senato allora ritenne giunto il momento dell'azione precisa e senza
riguardi. Infatti i senatori, rientrati nella curia, ordinarono che il
console Lucio Opimio difendesse la repubblica. Quindi egli, con mossa
fulminea, invitò i senatori e i cavalieri a presentarsi armati in
Campidoglio per porre in salvo le istituzioni dello Stato. Caio e Flacco
non ebbero altra via di uscita che quella di raccogliersi insieme coi
propri aderenti sull'Aventino per trovare un accordo di resa. Fu tutto
inutile: Opimio respinse ogni tentativo di proposta avanzata dai
graccani e il giorno successivo ordinò a gruppi di sagittari cretesi
l'assalto all'Aventino, dopo aver bandito un'amnistia per chiunque
avesse abbandonato il monte e messa a prezzo la testa dei due capi.
Flacco cadde per primo e Caio non vide altra via di scampo che quella di
darsi alla fuga scendendo precipitosamente verso il Tevere, ma nel
calarsi da una finestra del tempio che l'ospitava, si slogò un piede.
Aiutato tuttavia e protetto da pochi compagni rimastigli fedeli,
imboccò il clivio Publicio che lo portò ai piedi del colle . Raggiunse
così la porta Trigemina e, superatola, corse verso il ponte Sublicio
per dirigersi verso il Gianicolo. Purtroppo il destino gli fu contro e,
piuttosto che finire nelle mani dei suoi nemici, raggiunto il bosco
della dea Furrina (l'attuale villa Sciarra), si lasciò uccidere dal
servo Filocrate, che subito dopo si tolse la vita. L'antico ponte,
dunque, stava a cavallo del fiume all'altezza della porta Trigemina, tra
l'ospizio di S. Michele e l'Aventino. Non ebbe però vita tranquilla a
causa delle impressionanti inondazioni del Tevere. Infatti dopo quella
del 60 a.C. fu inevitabile la ricostruzione del ponte con sovrastrutture
in legno sopra pilastri di pietra che tennero duro fino al 1878, quando
con la dinamite si effettuò la loro completa scomparsa. Altre
distruzioni ebbero luogo nel 23 a.C. e al tempo di Antonino
Pio. Sembra accertato che i pilastri erano in solida
muratura. I sostegni erano sufficientemente alti sulla linea dell'acqua
da rimanere nella memoria per tutto il medioevo, e ne sentiamo parlare
di frequente come di un "pons fractus iuxta Marmoratam"
(ponte crollato presso la Marmorata). Furono demoliti del tutto sotto Sisto
IV "Il 23 luglio 1484" dice il diario dell'Infessura,
"Papa Sisto mandò.... 400 grandi palle di cannone di travertino,
fatte dei resti di un ponte di Marmorata, chiamato il ponte di Orazio
Coclite". Al termine poi di ogni ricostruzione venivano compiute
particolari cerimonie propiziatrici da parte del collegio dei pontefici,
responsabili della manutenzione del ponte, da cui forse prendevano anche
il nome. Per rendere possibile il collegamento diretto delle zone di porta
Portese e di Monteverde con il Testaccio
e l'Ostiense, non poteva non essere necessaria la costruzione di un
ponte che, battezzato Sublicio, potesse anche ricordare il suo antenato,
realizzato da Anco
Marzio e reso famoso dall'eroismo di Orazio Coclite.
I
lavori per la costruzione dell'attuale ponte Sublicio iniziarono nel
1914, un anno difficile per reperire il materiale occorrente, dato lo
scoppio del primo conflitto mondiale. Lo Stato, carente nelle finanze,
non fu in grado di accelerare il cammino dei lavori. Tuttavia nel 1917
si ebbero nuovi stanziamenti e si potè così completare l'erezione del
ponte nel 1918. la progetto provvide l'architetto Piacentini e
l'esecuzione dell'opera, affidata all'Impresa Allegri, venne a costare
1.378.000 lire, rampe comprese. Nei suoi pressi e precisamente sulla
riva destra, dove oggi si affaccia il complesso edilizio di S. Michele,
era in funzione, fino alla fine dell'ottocento, il porto di Ripa Grande,
dove attraccavano le navi cariche di merci provenienti dal mare. Si
tramanda che Sisto
V vide partire dal suddetto porto, dopo averle benedette, le
galee pontificie che agli ordini del cardinale Oliviero Carafa si
avviavano a combattere la flotta turca. Infine si ricorda che il 13
maggio 1918 il porto di ripa Grande ospitò il cacciatorpediniere della
regia Marina Militare "Granatiere", per la solenne consegna
della bandiera di combattimento. Con la costruzione dei muraglioni e la
rimozione del vecchio faro, il porto di ripa Grande non ha lasciato
nulla per essere ricordato ancora.
|