Un piazzale ghiaioso, qualche platano, una palma unica superstite
di un inverno assai poco clemente, cartaccia e lattine sparse
all’intorno; sullo sfondo s’intravede la facciata di San Carlo ai
Catinari opera del Soria, ma lo sguardo fugge lassù in alto, alla
cupola, architettura del Rosati: questo è l’habitat naturale della
fontana di piazza Benedetto Cairoli, uno slargo lungo la rumorosa via
Arenula, che dovrebbe essere un oasi di pace e di riposo, un luogo dove
sostare, ma che invece suscita tutt’altra impressione; ossessionata
dal traffico incessante, dallo smog, assediata dalla sporcizia,
dall’incuria. Il Mastrigli nel 1927 non ne dovette avere
un’impressione migliore, tanto da definirlo luogo “ poco frequentato
e piuttosto malinconico”, per di più “ mancante dei requisiti più
importanti per un pubblico giardino “. La fontana riesce comunque a
sopravvivere ad un capo del giardino, mentre, simmetricamente, sul lato
opposto, si scorge il monumento a Federico Sismit-Doda. La
vasca è un quadrato lievemente smussato ai quattro angoli; al centro si
elevano due catini di grandezze diverse: il catino più piccolo è posto
più in alto, è sorretto da un pilastro snello centinato da quale si
eleva un getto d’acqua che si va a raccogliere nel catino sottostante.
Quest’ultimo più grande del precedente, è sorretto da un robusto
pilastro adornato originariamente da delfini bronzei di cui ben poca
traccia rimane sul supporto granitico; anche da questo catino l’acqua
trabocca in un fitto velo lungo l’intera circonferenza, irrorando la
vasca ottagonale. E’ molto probabile che la composizione sia coeva
alla realizzazione della piazza e che sia stata voluta dalla medesima
amministrazione comunale all’alba dell’unità d’Italia e
realizzata da un certo Ed. Andrè, la cui sigla compare in un angolo
della vasca ottagonale. Pur non potendola considerare espressione di
rilevanza artistica, questa fontana è una delle poche espressioni
dell’epoca compresa fra il 1870 ed i primi del Novecento, in materia
di arredo urbano.
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