|
|
Circo di Massenzio
|
Dalla via Appia la vista spazia ora sul circo di Massenzio. L'edificio, lungo ben 513 metri e largo nel punto più ampio 91, fu costruito colmando una vallecola che probabilmente aveva la forma di un ippodromo. Per colmare la valle fu sbancata la collina in Caffarella dove ora spicca una grande cisterna: quest'ultima doveva essere in origine sotterranea, e fu quindi rinforzata con un bordo in blocchi di tufo. Il circo mostra ancora in buono stato i vari elementi. Le gradinate, sulle quali potevano trovare posto oltre 10.000 spettatori, presentano, nel nucleo cementizio delle volte di sostegno, delle anfore di terracotta che servivano ad alleggerire la struttura. La spina (cioè l'asse centrale del circo lungo 296 metri) era limitata da due metae semicircolari, ed aveva in mezzo numerose vasche per l'innaffiamento del campo, che nel loro insieme costituivano un canale (euripus), ed erano intramezzate da due edicole su colonne che sostenevano le sette uova e i sette defini, destinati ad indicare i giri di pista da compiere. Le statue delle divinità protettrici (prima tra tutte quella della Magna Mater) ricordavano che gli spettacoli erano in origine cerimonie religiose. L'ingresso trionfale al circo per gli spettatori è l'arco che si apre nel lato curvo vicino alla Caffarella, certamente non transitabile dai carri, perché preceduto da una gradinata; qui furono scoperti nel 1825 i frammenti con la dedica a Romolo, figlio di Massenzio che permisero l'identificazione dell'intero complesso. Dal lato ovest si vedono i 12 box di partenza (carceres), al centro dei quali è la grande porta d'ingresso dei carri, ora quasi distrutta, ma originariamente coperta ad arco. Alle estremità si innalzano due torri, di pianta quadrata, con il lato verso la facciata curvo (ricordano un po' porta S. Sebastiano). Due ulteriori ingressi per gli spettatori si aprivano anche tra le torri e le gradinate, e un altro lungo il lato sud, di fronte alla tribuna dell'imperatore. Gli spettatori poi si suddividevano in fazioni, a seconda della squadra per cui facevano il tifo; c'era la squadra bianca, la rossa, la verde e l'azzurra (Albata, Russata, Pràsina e Vèneta). Dai box il magistrato addetto alla corsa dava il via lasciando cadere la "mappula"; la corsa era un appuntamento importantissimo perché fulcro della politica di consenso imperiale, quella che Giovenale definiva con "panem et circenses" in quanto si basava sull'elargizione gratuita di grano al popolo e su grandi spettacoli di massa. Il centro del circo era ornato dall'obelisco di Domiziano, simbolo del Sole (nella simbologia egizia l'obelisco era il raggio di Sole solidificato), ed elemento chiave di una complessa rappresentazione che vedeva nei carri che correvano intorno alla spina una celebrazione del cosmo. Proprio questo obelisco nel 1651 fu recuperato dal Bernini e sistemato sulla fontana dei fiumi al centro di piazza Navona. Nonostante l'assenza dell'obelisco, il circo di Massenzio è il miglior esempio di circo romano a noi giunto dall'antichità. Il motivo è forse la morte di Massenzio, avvenuta nel 312 d.C. ad opera di Costantino; ciò provocò infatti l'abbandono del complesso, ed è possibile che il circo non sia stato addirittura mai usato: non si sono trovate infatti tracce della sabbia che avrebbe dovuto coprire la pista, mentre nuclei di cappellaccio esistenti in essa avrebbero in ogni caso reso impossibile la corsa. Il circo di Massenzio costituisce un'unità strutturale con il palazzo e con il mausoleo, insieme ai quali fu concepito e realizzato in opera listata, con alternanza di tufelli e mattoni. La tribuna destinata all'imperatore e alla sua famiglia (pulvinar) sorge sul lato nord-est del circo, e di lì un lungo porticato si collega infatti al palazzo. |