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Villa Pamphili
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Via Leone XIII, via della Nocetta, via San Pancrazio, via Vitellia, 78
Ott-Feb 7.00-18.00 Mar e Set 7.00-20.00 Apr-Ago 7.00-21.00
BUS 31 144 791 982
“La magnificenza classica, l'indispensabile arredo, direi, d'una famiglia nobile romana era la villa”, scrive nel 1878 lgnazio Ciampi nella sua storia di Roma tra il 1644 e il 1655, “la villa che doveva stendersi per molto spazio di terreno, coprirsi di ombre, suonare d'acque, ridere di giardini, splendere di palagi dove prima era l'umile vigneto” e ancora, “... non poteva bastare un boschetto a difendere dai raggi ardenti dei sole una piccola comitiva, ma era mestieri una larga sala o una lunghissima via di folti alberi a raccogliere le schiere di magnati, di porporati, di dame che, o dovevano passeggiarvi o raccogliervisi a colloqui or gravi or rumorosi, o esilararsi nei giochi frivoli e concettuosi dei tempo”. E sempre il Ciampi, poco oltre, ci ricorda quelle famiglie della nobiltà romana come i Barberini, i Colonna e gli stessi Pamphilj che non si potevano accontentare, come nel passato, delle “torri o del bosco del selvaggio castello, ma piacevano le strade coperte di alberi giganteschi, le valli con gli alti pini, i labirinti custoditi di arcani amorosi, le fontane zampillanti, gli ippodromi per le corse dei cavalli, i tempietti consacrati a Diana e Cerere, gli acquedotti, i laghi, i giochi d'acqua, i padiglioni d'edera”. Fu appunto nella seconda metà dei Seicento che venne progettato ed edificato, per volontà della famiglia Pamphilj, quel Casino di Allegrezze che doveva ospitare le feste e i grandi ricevimenti e al tempo stesso fu strutturato anche il parco nel suo insieme e quei Giardini di delizie circostanti il Palazzo nei quali ancora per molto tempo si sarebbero svolti i giochi e i passatempi della nobiltà romana. Se
intorno al 1650 si diede inizio all'opera di edificazione bisogna risalire al 23
ottobre dei 1630 per trovare il primo documento che attesti la proprietà
pamphiliana nella zona. Si tratta appunto di un atto di compravendita in cui un
tal Giacomo Rotolo cedette una vigna di quaranta pezze al Principe
Pamphilio Parnphilj per una somma di circa 4000 scudi. Nei secoli successivi
questa proprietà venne notevolmente ampliata fino al 1857 da quarantasei
proprietà limitrofe che vennero integrate all'originale e finirono per
costituire l'attuale parco di Villa Doria Pamphilj. Ma, in realtà, il momento
piú significativo per la realizzazione di questo complesso e, in generale, per
le sorti della famiglia, era avvenuto nel 1644. Il Cardinale Giovanni Battista
Pamphilj, infatti, era assurto in quell'anno al soglio pontificio con il nome di
Innocenzo X e, come spesso avveniva in questi casi, patrocinò l'edificazione di
opere monumentali che dessero maggior gloria, potere e prestigio alla sua
famiglia. Chi segui direttamente i lavori di edificazione influenzando, almeno
in parte, l'opera di Algardi, architetto incaricato della realizzazione, fu
Camillo Pamphilj, nipote del Papa e figlio della famosa Donna Olimpia Pamphilj
Maidalchini. Egli, infatti come spesso accadeva all'epoca, si dilettava di
architettura e belle arti. giardini intorno al Palazzo sono due: il Giardino Segreto la cui struttura è rimasta in parte inalterata e il Giardino del Teatro. Il primo constava di una “vasta zona rettangolare con una fontana centrale e due peschiere presso i lati corti dei recinto. Tra le fontane erano delineati due gruppi di quattro aiuole ciascuno, dal carattere rigidamente geometrico”. Il secondo, invece, subí profonde e radicali modifiche nel XIX secolo, sia a causa di alcuni smottamenti del terreno, sia in seguito ai combattimenti dei 1849 tra le truppe francesi e i garibaldini in difesa della Repubblica Romana e sia, ancora, alla trasformazione dei giardino all'italiana in giardino all'inglese avvenuta per volere di Lady Mary Talbot, moglie dei Principe Filippo Andrea, intorno al 1850. Giuseppe Marocco, in una descrizione della villa del 1838, può ancora offrirci parte della composizione originaria dei Giardi- no dei Teatro: ,... poco piú avanti eccoti la gran piazza dell'emiciclo volgarmente detta dell'Organo”, leggiamo nelle pagine dei suo manoscritto consegnato direttamente nelle mani del Principe Filippo e a lui dedicato, “Corredata di sedili per commodo dell'osservatore, di statue, di grossi vasi di terracotta”, e leggiamo poco oltre che “Veggonsi pure dodici nicchie di ognuna delle quali vi è la colomba pamphiliana egregiamente fatta di stucco, ed in diverso atteggiamento. Le nicchie tonde contengono ognuna un busto di bianco marmo di dodici diversi soggetti degli antichi, ma non di antica scultura...”, e ancora, “Il muro dell'emiciclo è pur sull'alto adornato di eleganti marmoree statue e nel suo mezzo vedesi una porta, che introduce ad una Rotonda in fondo alla quale esiste un fauno che mercè una macchina ad acqua che forman giochi per bagnar leggermente qualche animo curioso”. Attualmente
della macchina idraulica fatta installare dal principe Girolamo intorno al 1758
quale scherzo per diletto e gioco di ospiti e visitatori non è rimasta traccia
così come sono scomparse molte fontane e ninfei adiacenti che, con i loro
giochi d'acqua e le loro scenografie, dovevano attrarre e stupire. Nulla è
rimasto nemmeno di una giostra di cavalli in legno di cui si trova notizia tra
le spese di allegrezze dell'anno 1767 conservate presso l'archivio Doria.
Un tal Pietro Bernabò, infatti, artigiano di Casa Pamphilj, richiede il
pagamento per aver “dipinto tutte le macchine della Giostra di vari colori, et
ornati tutti li legni, e traversoni con fogliami a grottesco...”. Per queste e
per molte altre modificazioni e perdite che nel corso del tempo dovette subire
la Villa a volte riesce difficile ricostruire quelle realtà di cui è rimasta
ben poco traccia. Ricreare sia l'immagine fisica sia lo spirito che animava
questi luoghi in cui passeggiavano i porporati della Roma seicentesca, i
gentiluomini dai larghi cappelli piumati, le dame dell'alta società con le loro
ampie vesti, i molti gioielli e il loro seguito di valletti, lacchè, servitori,
battitori per la caccia e piccoli animali domestici che dovevano completare una
decorazione già ricca. Ecco
come il Gigli, in una suggestiva descrizione tratta dal suo Diario romano
(1608-1670), ci dà un'idea delle caratteristiche estetiche, dell'abbigliamento
e delle acconciature della nobiltà seicentesca: “Gli uomini si lasciano
crescere i capelli”, leggiamo, “et portano le zazzere come le donne, et al
cappello nero che portano in testa, hanno aggiunto un fiocco di fettuccia
colorata di quel colore che piú a ciascun piace, legata al cordone dei
cappello. Le donne portano la zazzera simile agli uomini et i collari calati giú
per le spalle, talché dalle teste di un uomo giovane et di una donna non vi è
differenza. Portano di piú i guardinfante, che sono alcuni cerchi con fettuccia
che si legano alla cintura et gli alzano le vesti intorno al corpo. Le vesti
sono tonde da piede e par che abbiano sotto un crine di pulcini, che per la sua
larghezza le fa parer piú piccole: con tutto che ad esse gli par d'esser piú
belle”. Con questi abbigliamenti e queste acconciature passeggiavano lungo i
viali e le siepi dei giardini di delizie interessati alla dinamica dei
giochi che vi si svolgevano o attratti dalle rappresentazioni teatrali e dai
trattenimenti musicali che venivano allestiti nell'emiciclo del teatro e che per
solito seguivano le mode e i gusti dell'epoca. Tra i molti giochi destava
particolare interesse la pallamaglio che si praticava con accanimento lungo
l'omonimo viale e che era particolarmente diffuso nel Sei e Settecento presso la
nobiltà non solo romana che vi partecipava sia direttamente sia in veste di
spettatori”. A
ulteriore, ma certamente non secondario ornamento dei Parco vi erano, come già
abbiamo detto, le numerose fontane in gran parte progettate dallo stesso Algardi
la cui realizzazione fu resa possibile grazie alla presenza dell'acquedotto
romano fatto ristrutturare da Paolo V alla fine dei XIV secolo e dalle
successive e numerose concessioni di acque che i Papi fecero alla famiglia
Pamphilj. “Non ti devi meravigliare di tante acque”, scrive Giuseppe Marocco
nel suo manoscritto, “che sono sparse in questa villa deliziosa, abbenché ne
abbia maggior copia la Borghese, ma nella Pamphilj furono meglio distribuite”.
E sempre del Marocco ricordiamo una suggestiva descrizione dei giochi d'acqua
presenti nella villa che ancora nell'Ottocento presentavano gran parte delle
caratteristiche originarie. Ed
è proprio in queste macchie, nel folto dei pioppi e dei pini, nei boschi e
nelle ampie radure che sono a poca distanza dei veri e propri giardini che
correvano liberi cervi, daini, fagiani e molte altre specie di animali qui
appositamente tenuti per il diletto dei convitati che si dedicavano con
entusiasmo alla caccia considerato lo sport preferito dalla nobiltà “Quando
sua eminenza il Cardinale Benedetto Pamphilj si reca a caccia con amici”,
leggiamo nel volume del Montalto dedicato al Cardinal Benedetto Pamphilj e alla
sua corte tra la seconda metà del XVII secolo e la prima metà del XVIII, “il
tono è piú alto: lo seguon o il carrozzino dei cacciatori, gli staffieri, i
lacchè a cavallo e la muta dei cani. Egli infila per l'occasione i suoi
stivaloni da caccia e si fa portare dietro i suoi ombrelloni di tela incerata
verde e rossa, e quella tenda multicolore ricordata in guardaroba insieme ai
larghi cappelloni di paglia. |