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Via Vittorio Veneto, 27 |
064871185 |
M Barberini |
BUS 52 53 60 61 62 80 95 116 492 |
Universalmente nota a Roma come i Cappuccini, questa chiesa deve certo la sua fama alla presenza del macabro ossario composto con i resti di migliaia di frati dell'Ordine. Questo a discapito della valorizzazione delle sue vicende storiche e delle notevolissime opere d'arte che vi sono conservate. Nel 1626 Urbano VIII Barberini concede ai padri Cappuccini di entrare in possesso del terreno su cui sorgerà la chiesa e l'annesso convento, a poca distanza dal costruendo palazzo della famiglia Barberini. La chiesa sarà rapidamente costruita tra il 1626 ed il 1630. Nel 1631 vi sarà trasferito il cimitero dell'Ordine che prima si trovava nella chiesa di S. Croce e Bonaventura dei Lucchesi, ai piedi del Quirinale. L'architettura è di Antonio Casoni. Originariamente la chiesa aveva un aspetto assai più suburbano, affiancata dalle nude pareti del convento e da una bella torre campanaria, affacciata su una piazza in salita, a fondo cieco, piantata ad olmi, oltre la quale si trovavano gli orti del convento e la villa Ludovisi. L'apertura di via Vittorio Veneto causò il sacrificio della torre campanaria e la scomparsa della piazza, mentre negli anni venti del XX secolo, per la costruzione del Ministero dell'Industria, scomparve il convento ed inoltre fu modificata la scala d'accesso. L'interno è ad una navata, con cinque cappelle per parte. Nella volta un bell'affresco neoclassico, lAssunta, opera di Liborio Coccetti (1796). Davanti all'altar maggiore, tomba del cardinale Antonio Barberini, cappuccino, fratello di papa Urbano VIII e benefattore della chiesa, sulla quale è l'iscrizione "hic jacet pulvis, cinis et nihil" (qui giace polvere, cenere e nient'altro). Ma molte opere d'arte importanti si trovano nelle cappelle laterali: nella prima a destra, dedicata a S. Michele Arcangelo, tela di Guido Reni raffigurante S. Michele Arcangelo che chiaccia Lucifero (1635), opera elogiatissima e considerata un capolavoro fino a metà dell'Ottocento, dove nella figura dell'Arcangelo si vedeva un tipo di belleza ideale non raggiunto da altri (e nella figura di Lucifero una malevola interpretazione vi vedeva un personaggio della corte pontificia inviso al Reni). Nella seconda cappella sinistra, Natività di Giovanni Lanfranco (1632); nella terza, S. Francesco riceve le stimmate, del Domenichino, e, sulla paerete sinistra, Morte di San Francesco, dello stesso; nella quinta cappella, S. Antonio, di Andrea Sacchi (1653). Tornandoindietro, sulla sinistra, nella quinta cappella, la Vergine appare a S. Bonaventura, di Andrea Sacchi (1645); nella prima, Anania ridona la vista a S. Paolo, di Pietro da Cortona (1631). Entrando nella sagrestia, vi si trova un importante quadro raffigurante S. Francesco in preghiera, tradizionalmente attribuito al Caravaggio, atribuzione che è stata confermata in anni recenti da nuove analisi, datando l'opera al 1603 circa. Uscendo dalla chiesa, passando da una porta a destra della facciata, si accede alla Cripta dei cappuccini, macabra "creazione" barocca, costituito da cinque ambienti in cui sono conservati, parte come "decorazione" degli ambienti stessi, gli scheletri di circa quattromila frati morti fra il 1528 ed il 1870. Si vuole che la terra che ricopre il pavimento degli ambienti sia stata portata dalla Terra Santa. Lasciando il complesso dei cappuccini, è da notare il palazzo a fianco che fa angolo su piazza Barberini, costruito nel 1927 dall'architetto Gino Coppedè, lo stesso dell'omonimo quartiere vicino a piazza Buenos Aires. L'edificio è un tipico esemplare dello stile Art Dèco, piuttosto raro a Roma. In angolo con piazza Barberini vi è anche la Fontana delle api, opera di Gian Lorenzo Bernini (1644), che in origine si trovava all'angolo con via Sistina e che fu qui ricostruita nel 1915. con ampi rifacimenti. |