Lungo
Corso Vittorio Emanuele II, allo sbocco di Corso Rinascimento, s'innalza
la facciata di una tra le più monumentali chiese romane, emblema,
insieme al Gesù
e a S. Ignazio,
della Chiesa della Controriforma, tempio principale di quell'ordine dei
Teatini, che fu uno dei più rigidi ed intransigenti baluardi
dell'ortodossia tridentina. Sebbene iniziata nel 1591, venne fatta
rientrare tra le chiese barocche del Seicento poiché la sua costruzione
e decorazione si prolungò molto oltre nel secolo seguente. Il progetto
iniziale fu dell'architetto Olivieri, poi proseguito dal teatino padre
Grimaldi; infine ai primi del nuovo secolo, ingenti stanziamenti
consentirono la rapida costruzione dell'edificio ad opera di Carlo
Maderno che giunse a completare l'altissima cupola, la seconda a Roma
dopo quella michelangiolesca di S. Pietro,
nel 1622. Tale cupola nel XX secolo è stata superata in ampiezza da
quella della chiesa dei SS. Pietro e Paolo all'EUR e da quella di Don
Bosco nell'omonimo quartiere.
La chiesa fu completamente coperta nel 1625 e consacrata nel 1650. La
facciata rimase una muratura soglia finchè Carlo Rainaldi la eresse tra
il 1655 ed il 1665, attenendosi al modello originario del Maderno, che a
sua volta si ispirava alla facciata "controriformistica" del Gesù,
divisa in due ordini sovrapposti. Ma il Rainaldi ne diede
un'interpretazione più barocca, accentuando la plasticità degli
elementi costruttivi e i chiaroscuri. Una curiosità da riferire è che
ai capitelli del lanternino della cupola lavorò nel 1621 come
scalpellino il giovane Francesco
Borromini (chiamato a Roma qualche anno prima dallo zio Carlo
Maderno a lavorare nel cantiere di S. Pietro).
Anche la pianta dell'interno ricorda il Gesù:
un'unica, vastissima navata con un corto transetto e sei cappelle
laterali intercomunicanti, un'amplissima volta a botte, affrescata e
decorata agli inizi del XX secolo.
Dopo le cappelle, si aprono due vestiboli di collegamento con l'esterno
sopra l'arco d'ingresso dei quali sono conservate due rare testimonianze
dell'antica basilica Vaticana, qui trasferite nel 1614 al momento della
definitiva demolizione di questa: i monumenti funebri dei pontefici Pio
II e Pio
III, ambedue della famiglia Piccolomini; il primo, risalente
al 1470 circa, è opera della scuola di Andrea Bregno; il secondo è dei
primi anni del cinquecento.
Ma l'importanza di questa chiesa è dovuta soprattutto alla presenza di una
serie di splendidi affreschi, nella cupola, nei pennacchi della cupola,
nel catino e nella curva absidale. Essi sono testimoni del classicismo
romano della prima metà del seicento, e fino nell'ottocento avanzato
costituirono una delle principali mete artistiche di Roma per i
viaggiatori colti di tutta Europa.
Infatti nella cupola abbiamo la Gloria del Paradiso, affresco di
Giovanni Lanfranco (1625-1628); nei pennacchi della cupola, gli Evangelisti
del Domenichino (1621-1628). Dello stesso sono gli affreschi del
sottarco e del catino absidale con Storie di S. Andrea (circa
1623), uno dei risultati più alti della pittura del seicento romano.
Sotto questi, tre affreschi con scene del Martirio di S Andrea,
opera di Mattia Preti (1650-1651). Un'altra notevole opera d'arte è
nella prima cappella sinistra, dove si trova la scultura di S. Marta,
opera di Francesco Mochi (1629). Tra le tante tombe conservate nella
chiesa, è da notare, nella seconda cappella sinistra, quella di
monsignor Giovanni della Casa, l'autore del celeberrimo Galateo.
Annesso alla chiesa, con prospetto sul largo
Vidoni, a sinistra, è
l'enorme edificio del convento dei Teatini, costruito a partire dal
1602, e che ora gode di privilegi sanciti dai Patti Lateranensi. Sullo
stesso largo, sul fianco della chiesa, si trova la statua del cosidetto
"Abate Luigi", una delle numerose statue parlanti della città,
insieme a Pasquino, Marforio etc.
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