Più che una chiesa è un oratorio. Annesso alla chiesa di Sant'Ignazio. E' dedicato al santo gesuista spagnolo Francesco
Saverio (1506-1552), ma è noto come Oratorio del Caravita, dal gesuita di Terni, Pietro
Garavita, che lo fondò nel 1631, ma il cui cognome appare corrotto dalla tradizione popolare.
L'interno è ad una navata, preceduta da un atrio che ha nella volta affreschi delle Storie di Francesco Saverio di Lazzaro Baldi. Sull'altare una pala raffigurante la Santissima Trinità e san
Francesco Saverio di Sebastiano Conca. Ai lati, frammenti di affreschi di Baldassare
Peruzzi. L'oratorio è ricordato dal Belli in due sonetti (L'ingeggno dell'Omo e Li fratelli Mantelloni del 18 e 19 dicembre 1832), in nota al primo dei quali spiegava: "Fu fondato da un padre C. o
Garavita di Terni, e serve ad uso d'esercizi di pietà. Ivi si danno i così detti esercizii alle Dame; ivi è un'opera di missioni: ivi è eretto un sodalizio di compagni e collaboratori de' missionari, detti volgarmente i Mantelloni dal lungo mantello nero che indossano: ivi finalmente oltre le funzioni
diurne dei giorni feriali e festivi, in ciascuna sera dell'anno dall'avemaria alla prima ora della notte si adunano molti uomini a recitare preci, a udire de' sermoni, a confessarsi, e in tutti i venerdì come in altre sere della settimana a disciplinarsi, ciocchè si eseguisce al buio, non senza gravi
inconvenienti talora accaduti. Terminando quindi il trattenimento, alcuni dei più zelanti escono dall'oratorio, e seguiti da altri divoti (quasi tutta gente volgare) si diramano per la città recitando il rosario interpolato da canzoncine
divote: e tanto bene prendono misura fra il tempo e la via, che giunti
chi a tale chi tal'altra Madonna, delle quali non è penuria per le strade di Roma, ivi come a
metà del loro viaggio termina appuntino il rosario e s'intuonano le litanie. Al fine di queste e di
altre orazioncelle, parte in prosa e declamate, parte in versi e decantate, ciascuno al saluto di "Sia
laudato Gesucristo" risponde con un "Sempre sia laudato", e va la suo qualunque piacere".
Riguardo ai "gravi inconvenienti" nel secondo sonetto chiarì che i confratelli al buio si fustigavano per "disciplinarsi", ma logicamente si colpivano anche le panche e qualcuno frustava le
spalle del vicino anzichè le proprie. Erano così frequenti i parapiglia, che la pratica fu sospesa.
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