Esistono a Roma due fontane con l’effige di un facchino e di un
barile: una in via Lata, dedicata ai portatori d’acqua, l’altra in
via di Ripetta, dedicata invece ai portatori del vino. L’originaria ubicazione posizionava la fontana del
facchino portatore di vino addossata alla facciata del palazzo
Vendramini, alla quale riusciva a dare un certo tono vista la mediocrità
del palazzo che fu successivamente demolito durante i lavori di
sistemazione dell’area circostante l’Ara
Pacis; la fontana,
smontata, venne traslata sulla facciata della chiesa di San Rocco. Nel
1570, per celebrare la conclusione dei lavori di adduzione dell’acqua
Vergine di Roma, era stata prevista la realizzazione di diciotto fontane
dislocate in diversi punti della città una delle quali doveva essere
sistemata su San Rocco. In realtà l’acqua fu condotta principalmente
per servire l’ospedale delle Celate ( le donne che erano costrette a
partorire in anonimato) e solo nel 1774 quando l’ospedale subì un
totale restauro, la Camera Apostolica donò una certa misura d’acqua
alla condizione però che questa volta la famosa fontana fosse realmente
costruita. Di fronte a San Rocco, nel porto di
Ripetta, attraccavano le
navi cariche di mercanzia; per tale ragione la confraternita degli osti
volle erigere una fontana ristoratrice raffigurante un facchino
simbolico per tutti i portatori di legna, vino, acqua, verdura, di tutte
le merci che arrivavano a Roma per via fluviale; non a caso scelsero il
portatore di vino. Il perché si ritrova nelle abitudini e consuetudini
del porto, fra tutte le merci in arrivo la più ambita e desiderata era
senz’altro il vino. Infatti tutte le partite di questa merce
provenienti dall’alto Lazio trovavano qui i primi diretti estimatori e
ovviamente assaggiatori: erano i portatori che compivano il magico rito
della degustazione, dinanzi alla chiesa, patronimica degli osti,
accompagnato da feste e baldorie. La fonte non poteva avere quindi
migliore sistemazione se non qui, fra S. Rocco e S. Girolamo degli
Schiavoni, in una nicchia ricavata nell’arco che collega le due
chiese. Una buffa testa d’uomo dal berretto sbilenco, tipico dei
facchini, sorridendo versa acqua in una sottile vasca ovale sospesa su
un mucchio di pietre che fanno da fondale a tutta la composizione. Alla
base di questa vasca, due fistole gettano acqua in un rozzo catino che a
sua volta la riversa nell’imboccatura di una botte rovesciata sul
fianco. Un bordo marmoreo, infine, delimita una piscina a livello terra
che conclude la composizione. Sul fondale, oltre all’ammasso informe
di pietre, è disegnata una cornice in falsa prospettiva che inquadra la
valva di conchiglia da cui spunta la testa ridanciana del facchino
(quasi fosse una perla!). Un arco decorato a bassorilievo nella cui
lunetta si disegna una apertura ogivale serrata da un’inferriata,
delimita la fontana superiormente. La nicchia è sovrastata da un
epigrafe in cui si legge:
“BENEFICENTIA CLEMENTIS XIII PONT. MAX AQUA
VIRGO ANN. MDCCLXXIIII"
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