Queste
quattro fontane, contrariamente al solito, vennero fatte edificare a
spese di privati all'incrocio fra via Pia (oggi via XX settembre) e la
Via Felice (oggi via Quattro Fontane) laddove solenne si innalza oggi la
facciata del San
Carlino Borrominiano, in prospettiva dei Dioscuri
da una parte, del S.
Bernardo e la lontanissima Porta
Pia dall'altra. Siamo nel periodo di Sisto
V e di Domenico Fontana, ma il pontefice, in questa
occasione, degradò il suo architetto a semplice fornitore di materiali.
Con uno scritto del 1589, gli ordinò di consegnare ad un certo Muzio
Mattei, cinque pezzi di peperino che provenivano dal distrutto
Settizonio, ovvero quell'edificio che si trovava alle pendici del
Palatino eretto da Settimio Severo. L'idea e la messa in opera di queste
fontane si devono a Muzio Mattei, lo stesso personaggio che
riuscì a far costruire (secondo la leggenda) davanti al suo palazzo, la
fontana delle Tartarughe che sarebbe stata altrimenti destinata a piazza
Giudea. In realtà, il Mattei aveva fatto realizzare solo tre delle
quattro fontane. La quarta la dobbiamo ad un certo Giacomo Gridenzoni.
Si tratta di quella dalla parte di palazzo
Barberini, costruita nel
1593, erroneamente attribuita a Pietro da Cortona. E' costituita, come
le altre, da una mezza vasca addossata all'edificio sormontata da una
statua sdraiata con aria pacifica e sonnacchiosa, che rappresenta la
Fedeltà,ma molti la identificano come Diana. Ella è fiancheggiata da
un simbolico cane e appoggiata ad un trimonzio (simile a quello dello
stemma sistino), ha come sfondo una bella finestra con ornati vegetali.
La caratteristica principale delle quattro fontane è costituita dagli
sfondi scenografici retrostanti le figure semiadagiate che le adornano.
Le tre fontane realizzate dal Mattei furono costruite nel 1588 e
rappresentano rispettivamente l'Arno, all'angolo dell'ex palazzo Mattei
(ora Del Drago) dalla riccioluta capigliatura cui fanno da sfondo della
canne simili alle piante di papiro (da cui l'ipotesi che il fiume in
realtà sia il Nilo) e un leone, l'emblema fiorentino. Il Tevere posto
di fronte alla precedente, all'angolo con la chiesa di S.
Carlo alle Quatto Fontane, è rappresentato anch'esso con la
folta capigliatura canuta e fluente, sostiene una grande cornucopia
ricolma di frutta. Sullo sfondo una lupa, non bella in verità e una
fitta vegetazione, la chioma dell'albero in primo piano che si confonde
riportandoci ad antiche concrezioni calcaree di grotte nascoste. Infine
la Fortezza rappresentata da una prosperosa Giunone posta, guardando
Trinità dei Monti, sulla sinistra, colta con il capo reclinato in cui
fra i capelli si scorge una corona, e si appoggia su un docile leone che
le si sottomette e versa acqua nella vasca sottostante. Lo sfondo simile
a quello della statua del Tevere è lussureggiante dominato da una
snella palma,mentre nell'estremità sinistra si agita insolito un
vociante palmipede.
L'incrocio
è il capolavoro di papa Sisto
V Peretti, infatti stando al centro di esso si possono
ammirare su tre lati ben tre obelischi (quello Esquilino
con la sagoma di S.
Maria Maggiore, quello Sallustiano
con la chiesa di Trinità
dei Monti e quello Quirinale)
mentre dal quarto lato possiamo ammirare la michelangiolesca facciata
interna di porta
Pia. |