I
Rostri si presentano a noi in quella forma che venne data loro quando furono
ricostruiti nel principio dell' Impero. Giulio Cesare aveva ideato di trasferire
l' antica tribuna posta sul confine del Foro e del Comizio, ma solamente Augusto
eseguì il disegno. All'edificio augusteo appartengono probabilmente i
muraglioni di tufo bruno che sostengono i lati della piattaforma. Questi
muraglioni erano incrostati di marmi: la fronte, lunga m. 23,80 = piedi romani
80, era decorata con rostri di bronzo dorato, tolti a navi
nemiche. Anche ora si vedono i buchi posti a due a due, che servivano per
fissare i rostri. La facciata era sormontata da una cornice di marmo, la quale
sulla parte superiore reggeva una transenna di marmo e bronzo. La fronte dei
rostri (con l' arco di Tiberio a sinistra) vedesi effigiata sul rilievo posto
sopra l' arcata sinistra dell' arco di
Costantino; la transenna vi apparisce
interrotta nel mezzo della fronte, e ciò forse per potervi collocare una scala
verso l' area del Foro, necessaria qualche volta per grandi cerimonie pubbliche. Sull' angolo della fronte si vedono nel rilievo effigiate due
statue onorarie: due basi appartenute a statue simili erette in onore di
Stilicone sul principio del sec. V d. C.,
furono infatti trovati in questo luogo nel 1539. Le colonne sormontate da
statua che appaiono nel medesimo rilievo dietro i rostri, sorgevano sulla
piattaforma stessa, oppure dietro quella lungo il Clivo Capitolino. Nel mezzo
delle balaustrate laterali furono posti, al tempo di Traiano, i grandi plutei
con rilievi storici descritti più sotto; dal Clivo Capitolino si
accedeva alla piattaforma per mezzo di una cordonata di pochi gradini.
Le dimensioni della tribuna in lunghezza e in larghezza sembrano esagerate: ma
ciò spiegasi col fatto che essa non sempre era destinata al solo oratore, ma
qualche volta, in occasione di grandi cerimonie, anche all' Imperatore col suo
seguito. Due di siffatte cerimonie, il ricevimento di Tiridate e le esequie di
Pertinace, meritano di essere qui descritte.
Nel 66 d. C. Tiridate re dei Parti obbedendo alle condizioni di pace
impostegli dal generale di Nerone, Domizio
Corbulone, si recò a Roma per
ricevere nuovamente il diadema regale e dalla mano dell' Imperatore. Nerone gli
fece magnifica accoglienza, e le feste costarono, secondo Suetonio, giornalmente
ottocentomila sesterzi (100 euro). La cerimonia dell' incoronazione viene
descritta come segue: "Già prima dell' alba la piazza del Foro era
occupata da rappresentanti del popolo romano, vestiti di bianco con corone in
capo; ai lati e agli ingressi della piazza erano posti i soldati, dalle armi e
delle insegne luccicanti come la folgore; innumerevoli spettatori occupavano
ogni posto libero fino sul tetto degli edifizi. Al levar del sole, Nerone
comparve sulla piazza in veste trionfale, accompagnato da senatori i pretoriani.
Egli prese posto sui rostri, in una sedia curule. Poi Tiridate e il suo seguito,
tra le file dei soldati schierati lungo la via, vennero condotti sino ai rostri,
ove inchinarono l' Imperatore secondo il costume orientale. Allora il pubblico
scoppiò in applausi così fragorosi, da spaventarne Tiridate che credette esser
questo il segnale della sua morte. Nerone però lo fece rassicurare, ascoltò
con benevolenza il suo discorso di omaggio che venne tradotto al popolo da un
pretore esperto nelle lingue orientali; e, dopo avergli risposto graziosamente,
lo invitò a salire sulla tribuna. Tiridate vi ascese per mezzo di una scala
costruita appositamente sulla fronte dei rostri, s'inginocchiò davanti all'
Imperatore e ricevette dalla mano di lui il diadema in mezzo a nuovi e fragorosi
applausi dei Romani".
Le esequie di Pertinace (193 d. Cr.) ci vengono descritte da un testimonio
oculare, lo storico Cassio Dione: "Sul Foro Romano era stata costruita una
tribuna di legno vicino a quella di pietra (= i rostri): sopra quella tribuna
venne collocata un' edicola a colonne ornate d' oro e di avorio. Dentro questa
edicola fu posto un letto degli stessi materiali preziosi, e coperto di porpora
tessuta in oro: e sul letto l' immagine di cera di Pertinace, vestita con le
vesti trionfali, dalla quale uno schiavo giovane e bellissimo con un flabello di
piume di pavone allontanava le mosche, come ad uno che dorme. Per la cerimonia
entrò nel Foro l' Imperatore seguito dai senatori con le nostre consorti,
tutti vestiti a lutto: le donne presero posto sotto le gallerie (delle
basiliche), noi altri allo scoperto. Quindi cominciò il corteo funebre: lo
aprivano le statue degli antichi illustri romani; poi venivano cori di ragazzi e
di uomini, cantanti un inno funebre in onore di Pertinace; indi le statue di
bronzo di tutte le province soggette all' Impero Romano, rivestite del loro
costume nazionale. Seguivano le corporazioni dei littori, degli scrivani, degli
araldi ed altre simili; poi altri statue di uomini illustri o per le loro gesta
o per le loro scoperte. Quindi soldati a piedi e a cavallo, nonchè cavalli da
corsa; e poi i doni funebri mandati
dall' Imperatore, dai senatori, unitamente alle nostre mogli, dall' ordine
equestre, dalla cittadinanza, da corporazioni e da sodalizi. Chiudeva il corteo
un' ara dorata e tempestata di avorio e pietre preziose dell' India. Sfilato il
corteo, Severo salì sui rostri e pronunciò un elogio funebre di Pertinace. Il
discorso dell' Imperatore fu spesso interrotto dai nostri applausi e
dimostrazioni di lutto e gli applausi divennero ancor più calorosi alla fine.
Quando poi il letto stava per esser portato via, noi tutti prorompemmo in pianti
e lamenti. Il letto funebre fu accompagnato fino appiè del catafalco dai
pontefici e dai magistrati, non soltanto da quelli in carica, ma anche da quelli
designati per l' anno venturo; poi venne consegnato ad alcuni personaggi dell'
ordine equestre, per trasportarlo. Noi senatori precedemmo il feretro, alcuni
battendosi il petto, altri piangendo; seguiva l' Imperatore, e così il corteo
si avviò al Campo Marzio, dove ebbe luogo la solenne cremazione e consecrazione
(presso Monte Citorio)".
Quando, sotto Settimio
Severo, fu eretto il grandioso arco trionfale, anche i
rostri mutarono aspetto. Fu allora aperto un ingresso diretto alla piattaforma
dalla parte settentrionale. Era però impossibile addossare una scala al muro
esterno della tribuna che stava quasi a contatto coll' arco. Quindi fu
ritagliato una specie di cortile triangolare nel centro dell' edifizio. Un lato di quel triangolo era formato da una parete lievemente arcuata
(il cosidetto 'Hemicyclium') e incrostata con marmi colorati; un altro lato,
verso l' arco, venne chiuso da un cancello infisso nello stilobate del muro
originario, le cui parti superiori furono demolite.
Assai più tardi la facciata dei rostri fu prolungata verso settentrione:
la parte nuova venne costruita di mattoni assai rozzamente; vi si vedono ancora
i buchi per fissare i rostri navali. Si crede che a questo tardo restauro si
riferisca un' epigrafe incisa sopra blocchi rettangolari di marmo, che hanno
sulla parte superiore l' incavo per una transenna. L' epigrafe, di una sola
riga molto lunga, a lettere grandi, attesta che un prefetto della città, Ulpio
(?) Giunio Valentino, sotto gli imperatori Leone ed
Antemio (verso il 470 d.
C.), restaurò il monumento, forse dopo una vittoria navale sui Vandali. Perciò
i moderni chiamano la parte nuova 'Rostri vandalici'.
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