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Arco di Dolabella
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L'arco fu costruito nel 10 d.C. dai consoli Cornelio Dolabella e Gaio Giunio Silano, come si legge (a malapena) sull'attico della facciata esterna: "P. Cornelius P. f. Dolabella / C. Iunius C. f. Silanus flamen Martial(is) / co(n)s(ules) / ex S(enatus) c(onsulto) / faciundum curaverunt idemque probaver(unt)" - Ovvero: "P. Cornelio Dolabella, figlio di Publio, e Gaio Giunio Silano, figlio di Gaio, flamine di Marte, consoli, per decreto del Senato appaltarono (quest'opera) e ne fecero il collaudo". Sul lato destro dell'arco, sotto il muro di mattoni, sono ancora visibili alcuni blocchi di tufo di Grotta Oscura, strettamente collegati all'arco stesso. Quest'ultimo non è altro che una porta delle Mura Serviane, ricostruita da Augusto e identificabile con la Porta Caelimontana. L'arco fu utilizzato per sostenere l'acquedotto costruito da Nerone: dall'acquedotto Claudio, all'altezza di Porta Maggiore, si staccava un ramo che, su arcate, seguendo più o meno il percorso dell'Acqua Appia, si dirigeva verso il Celio. Gli archi visibili, oltre a quello di Dolabella, sono quelli in via Statilia, in via D. Fontana, in piazza S. Giovanni in Laterano, lungo la via di S. Stefano Rotondo e al centro di piazza della Navicella: da qui essi si dirigevano al Tempio di Claudio, alimentando il ninfeo neroniano sul lato orientale di questo. |