La
fortuna di Roma, che in quel periodo era diventata una delle più grandi
potenze, fu sul punto di tramontare per sempre nel 387 a.C. quando orde
di Galli Sènoni oltrepassarono l'Appennino e si diressero sulla città.
Invano i Romani cercarono di fermarli; atterriti da quelle barbe selvagge, da
quegli elmi muniti di corna, vennero facilmente vinti e i Galli, entrati nella
città, la devastarono. Solo pochi guerrieri romani, che si erano ritirati sul
Campidoglio (a cui è legata la leggenda delle oche), continuarono a resistere.
I Galli erano riusciti ad assediare la città. I
difensori cominciarono ben presto a soffrire la fame. Più volte, guardando le oche
sacre che vivevano lassù, nel tempio di Giunone, avevano pensato che con
quelle avrebbero potuto placare i tormenti del lungo digiuno. Ma le oche erano
sacre alla Dea e ucciderle sarebbe stato un sacrilegio.
Una notte un valoroso soldato, Marco Manlio, che dormiva presso il tempio
di Giunone, sentì risuonare uno strano rumore che lo destò d'improvviso.
Prontamente egli afferrò la spada e balzò in piedi. Subito capì che le oche
stavano starnazzando.
Manlio corse alle mura della rocca, guardò giù... e si trovò faccia a faccia
con un Gallo.
I nemici tentavano un assalto e in quel momento, appunto, un gruppo di essi si
spingeva sopra il parapetto per entrare nella fortezza.
In un istante Manlio afferrò il braccio teso del primo Gallo, gli strappò
le dita dal parapetto e lo lanciò giù per la rocca.
Iniziò a gridare e il clamore delle oche cresceva... cresceva.... In pochi
minuti tutti i soldati si destarono ed afferrarono le armi, pronti alla difesa.
Gridando, gli eroici difensori della rocca corsero alle mura. La sorpresa dei
Galli fallì. In breve, essi furono sconfitti e ricacciati giù.
Dopo qualche giorno, tuttavia, costretti dalla fame, i coraggiosi difensori del
Campidoglio dovettero venire a patti con i Galli.
E furono patti duri: Roma dovette pagare la propria libertà con l'oro: molto,
molto oro. Per di più, pesato con le bilance false dei Galli, sulle quali il
loro comandante, Brenno, aveva posato la sua spada.
Per fortuna, proprio in quel momento, rientrava in Roma Furio Camillo, valoroso
generale romano che aveva raccolto e radunato i guerrieri dispersi. Giunto come
una furia sulla piazza, si arrestò di fronte a Brenno gridando che avrebbe
liberato Roma con il ferro e non con l'oro. Fu il segno della riscossa. I Romani
rianimati ripresero la lotta e i Galli furono cacciati dalla città con enormi
perdite.
Benchè quasi totalmente distrutta, Roma era salva. Fu ricostruita più bella
per volere di Camillo, chiamato per questo: Secondo fondatore di Roma . |