"E allora fu costruito il ponte di
pietra che conduce all'isoletta che sta in mezzo al Tevere." Con
questo brano lo storico greco Dione Cassio, parlando degli avvenimenti
del 62 a.C. fa riferimento al ponte che il curatore delle strade L.
Fabricio fece costruire con blocchi di Tufo e peperino. Con tale opera
probabilmente veniva sostituito un ponte di legno che, secondo Tito
Livio, fin dal 192 a.C. univa l'isola di Esculapio (tiberina) alla riva
sinistra del Tevere. Su entrambe le facciate di travertino degli archi
del ponte si legge la conferma alle parole di Dione, attraverso
un'iscrizione a caratteri cubitali così dettata dallo stesso "curator
viarium": "L[ucius] Fabricius C[aii] F[ilius] Cur[ator]
viar[um] faciundum coeravit" (Lucio Fabrizio, figlio di Caio, in
qualità di sovrintendente curò la costruzione).
Sulle
due facciate poi del piccolo fornice del pilone centrale si legge anche
"idemque probavit" , ossia l'approvazione di Fabricio,
che oltre l'onore di realizzare un'opera di pubblica utilità, sentiva
anche la responsabilità della perfetta esecuzione di cui rendere conto
in base alle norme legiferate dallo Stato. Inoltre la fascia di
travertino appartenente all'arco appoggiato sulla sponda sinistra del
fiume, reca inciso il "probaverunt" dichiarato nel 21
a.C. dai due consoli Marco Lollio e Quinto Lepido per confermare la
solidità e l'agibilità del ponte, dopo un collaudo di verifica per la
sua stabilità. Questa iscrizione ci insegna la saggezza
dell'amministrazione romana: gli appaltatori del lavoro di costruzione
dei ponti erano garanti ella solidità del manufatto per ben 40 anni e
solo al quarantunesimo potevano rincamerare il deposito cauzionale da
loro versato in anticipo. Il fatto che il ponte sia sopravvissuto sino
ad oggi è la migliore lode della sua solidità. Era stato infatti
necessario eseguire un restauro del ponte, danneggiato forse dalla
stessa grande piena del 23 a.C. che provocò la distruzione del ponte
Sublicio. Un altri intervento di risanamento fu eseguito
sotto il pontificato di Eugenio
IV, che pensò anche alla pavimentazione del ponte con lastre
di travertino. Innocenzo
XI invece provvide nel 1679 al rifacimento dei parapetti.
Quando la comunità ebraica occupò la zona sulla sinistra del Tevere,
il ponte fu detto dei Giudei che nel 1556 furono vergognosamente
"asserragliati" da Paolo
IV in quell'area recintata da mura con cinque portoni e
meglio conosciuta come Ghetto. In quanto poi alla denominazione
"ponte quattro capi" si tramanda una leggenda secondo la quale
le erme quadricipiti inserite nella balaustra all'ingresso del ponte
sono il ricordo di quattro architetti incaricati da Sisto
V di restaurare il ponte stesso. Ma per il loro costume di
vita poco ortodosso furono fatti decapitare dal pontefice che tuttavia
li volle effigiati nel marmo per il loro valido apporto a favore della
realizzazione dell'opera commissionata. |