Domus Aurea
Parco del Colle Oppio M Colosseo BUS 30/ 95 87 117 175 810 850
Tutti i giorni tranne il mar 9.00-20.00 Biglietto intero: 9,5 € con archeologo, 6 € senza archeologo
ridotto: meno di 18 anni e più di 65, 4,5 € con archeologo, 1 € senza archeologo
Tel. 0639967700 Prenotazione obbligatoria
La Domus Aurea sorse sulle ceneri del terribile incendio del 64 d.C., che distrusse gran parte della città di Roma (dieci delle quattordici regioni augustee). La fastosa residenza del principe, affidata alle cure degli architetti Severo e Celere, venne ad occupare quasi tutto il centro di Roma, cancellando case e edifici pubblici, in un’area di circa ottanta ettari compresa tra il Palatino, l’Esquilino, l’Oppio e il Celio, includendo in essa un lago vasto "quasi come un mare" (lo stagnum Neronis) e "edifici grandi come città", sì da merita e l’appellativo di Aurea. L’impressione suscitata presso i contemporanei fu tale da oscurare il ricordo della casa precedente (ricordata dai biografi di corte come la Domus Transitoria, ad indicare la sua funzione di collegamento tra il Palatino, sede ufficiale del principe, e i possedimenti imperiali dell’Esquilino) e da ispirare i famosi versi satirici "Roma è oramai una sola casa: migrate a Veio, o Quiriti, se questa casa non occuperà anche Veio". Se il mondo romano aveva già acquisito, negli anni delle guerre di conquista, la moda ellenistica dei grandi peristili colonnati, dei regali saloni di rappresentanza e dei lussureggianti giardini esotici, introdotta a partire dalla fine del lì secolo a.C. nelle ricche case di città come nelle lussuose ville di campagna, pure del tutto innovativa risultò la concezione d’insieme della Domus Aurea, nelle proporzioni e nel lusso degli ornamenti, per questo accostabile solo alle reggie dinastiche orientali e ai palazzi di corte di Alessandria d’Egitto. Da questi modelli, e dalle ideologie che li avevano ispirati, Nerone derivò la visione assolutistica del potere imperiale, che lo spinse a raffigurare se stesso nelle sembianze del dio Sole nella famosa statua del Colosso bronzeo, alta più di trentacinque metri posta ad ornamento del vestibolo della nuova casa, sul luogo dove più tardi sorgerà ad c era di Adriano il Tempio di Venere e Roma.
Da Nerone a Traiano
Alla morte del principe, i suoi successori, desiderosi di liberarsi di un’eredità così scomoda ed impopolare, restituirono all’uso pubblico l’area occupata dalla gigantesca e irriverente reggia: distrutte le costruzioni del Palatino (inglobate nel nuovo Palazzo Imperiale dei Flavi) e della valle compresa tra l’Oppio e il Celio, iniziarono la costruzione del monumentale anfiteatro di pietra, il Colosseo, nello spazio in precedenza occupato dallo stagnum Neronis, che nel nome conserva il ricordo del Colosso dell’ultimo imperatore della famiglia Giulia. Solo il padiglione del colle Oppio sopravvisse al rinnovamento urbanistico dei Flavi: fino al 104 d.C. e all’inizio dei lavori per la realizzazione del soprastante complesso termale di Traiano, progettato dall’architetto Apollodoro di Damasco. L’ingegnosa idea di colmare di terra l’edificio neroniano, già spogliato dei marmi e delle opere d’arte, sfruttandolo come sostruzione artificiale delle nuove terme, se da un lato ha cancellato la memoria dell’edificio neroniano, dall’altro ha consentito la conservazione fino ai giorni nostri del nucleo residenziale del colle Oppio. Sulle rovine delle Terme di Traiano, cadute in abbandono dopo il taglio degli acquedotti da parte di Vitige, re degli Ostrogoti, nel 539 d.C., sorsero nel medioevo orti e vigne, a caratterizzare il nuovo paesaggio del colle che aveva ospitato la Reggia d’oro di Nerone.
La riscoperta alla fine del Quattrocento
La riscoperta della Domus Aurea avvenne casualmente alla fine del Quattrocento per opera di curiosi e di appassionati di antichità che, calandosi dall’alto nelle grotte ancora interrate, iniziarono a copiare i motivi decorativi delle volte, promuovendo nel secolo successivo la fama e la fortuna dell’arte delle "grottesche". Artisti famosissimi, come Raffaello, Pinturicchio, Ghirlandaio, Giovanni da Udine e altri, le cui firme graffite o tracciate a nerofumo sulle pareti della domus testimoniano ancora oggi il ricordo della visita, trassero ispirazione dalle pitture e dagli stucchi neroniani per decorare le logge e le stufette di cardinali e aristocratici romani, nei Palazzi Vaticani, a Castel Sant’Angelo, a Villa Madama: agli inizi del Rinascimento, la riscoperta della Domus Aurea segnò la scoperta della pittura antica, con un clamore paragonabile a quello suscitato duecentocinquanta anni più tardi dai rinvenimenti degli affreschi di Ercolano e Pompei. Nel 1506, nello scavare in una vigna del colle Oppio, venne disseppellito il gruppo del Laocoonte, una delle opere scultoree più famose dell’antichità, che divide con il Toro Farnese il privilegio di essere citato nella Storia naturale di Plinio il Vecchio, secondo il quale la scultura, raffigurante l’estremo sacrificio del sacerdote troiano e dei suoi figli, condannati dal fato ad una fine terribile per essersi opposti all’ingresso nella natia Troia del cavallo dell’inganno acheo, era posta ad ornamento della domus di Tito. La presenza del celebre gruppo nell’area della Domus Aurea non sorprende se si considera che le fonti antiche più volte sottolineano le manie collezionistiche di Nerone, che aveva compiuto razzie in tutta la Grecia per adornare i saloni della sua reggia, vero e proprio museo di capolavori classici ed ellenistici, tra i quali probabilmente le statue bronzee dei Galati vinti, più tardi trasferite, insieme al resto, nel Tempio della Pace di Vespasiano per essere restituite al pubblico godimento.
L’architettura
Della Domus Aurea oggi resta soprattutto il nucleo edilizio del colle Oppio, formato da circa 150 ambienti, articolati attorno alla sala a pianta ottagonale, vero e proprio fulcro di tutto il complesso, esteso sulla fronte per una lunghezza di circa 400 metri. Gli ambienti, costruiti in opera laterizia, sono per la maggior parte coperti da volte a botte di altezza variabile tra i 10 e gli 11 metri. La planimetria di quanto si conserva permette di distinguere due settori: uno occidentale, caratterizzato da un cortile-giardino a pianta rettangolare, circondato da un portico di ordine ionico, lungo i lati del quale si distribuiscono le sale che alcuni ritengono formare il settore privato della residenza neroniana. A questo settore appartengono alcuni degli ambienti più famosi: la Sala della volta delle civette, così detta dai motivi decorativi della volta, riprodotta nei disegni e nelle incisioni del Settecento; il Ninfeo di Ulisse e Polifemo, che trae il suo nome dal soggetto a mosaico riprodotto al centro della volta, conosciuto da altri ninfei di ville imperiali, a Baia, a Castel Gandolfo e a Tivoli. Assai più articolato il settore orientale della domus, centrato sulla sala a pianta ottagonale e sui due grandi cortili poligonali aperti ai lati di questa. Nella quale alcuni, senza gran fondamento, hanno voluto riconoscere il salone a pianta circolare, che ruotava continuamente come la terra, ricordato da Svetonio. In questo settore del Palazzo sono conservate la Sala della volta dorata, con la sua sfarzosa decorazione a stucchi policromi; la Sala di Achille a Sciro, dal soggetto del quadro centrale della volta, che riprende il noto episodio omerico dell’eroe acheo nascosto da Teti sull’isola di Sciro, tra le figlie del re Licomede, per sfuggire ai pericoli della guerra di Troia; la Sala di Ettore e Andromaca, anche questa ispirata dall’epos omerico, con la scena dell’addio di Ettore alla moglie e al figlio Astianatte. La mancanza di porte, di latrine, di ambienti di servizio e dei sistemi di riscaldamento farebbero escludere il carattere residenziale del padiglione del colle Oppio, riservato probabilmente solo allo svago e all’ozio dell’imperatore e dei suoi ospiti, in una cornice ricca di bellezze naturali e di opere d’arte.
La decorazione
La fama degli stucchi e delle pitture della Domus Aurea resta legata al nome di Fabullo, l’artista ricordato da Plinio il Vecchio per il suo stile severo, che faceva cioè uso di colori quali il cinabro, l’azzurro, il rosso scuro, l’indaco, il verde, e per la mania di dipingere in toga anche sulle impalcature di cantiere. Le decorazioni dipinte, gli stucchi e alcuni frammenti di mosaico sono quel che resta del lusso e della ricchezza originaria. Gli affreschi, che ricoprono intere pareti dei corridoi e degli ambienti di passaggio, lasciando il posto nelle sale principali ai rivestimenti in pregiati marmi di importazione, sono tutti ascrivibili al cosiddetto quarto stile pompeiano, il sistema decorativo che caratterizza l’ultima fase di vita della città vesuviana e che, ispirandosi alle scenografie teatrali, scandisce le pareti con esili e finte architetture, sovrapposte su più registri, popolate da figure e animali fantastici. I restauri compiuti hanno documentato un uso abbondante della foglia d’oro e confermano ciò che le fonti testimoniano: l’uso delle gemme e delle pietre preziose, come Seneca descrive nella frase una "casa risplendente per lo scintillio dell’oro". I soggetti figurati conservati rivelano una netta predilezione per i personaggi e gli episodi della saga troiana, forse un omaggio del principe alla città che aveva dato le origini a Roma e alla famiglia giulio-claudia.
Gli scavi e le scoperte
XVI secolo: artisti e appassionati di antichità si calano dall’alto dei giardini delle terme di Traiano, nelle "grotte" di Nerone, per copiare i motivi decorativi a fresco e a stucco delle volte; tra gli altri, Raffaello, Pinturicchio, Ghirlandaio.
XVII secolo: nella seconda metà del secolo, Pietro Sante Bartoli libera dalla terra alcune stanze del complesso neroniano e pubblica una serie di disegni tratti dalle decorazioni pittoriche antiche.
XVIII secolo: negli anni compresi tra il 1758 e il 1769 papa Clemente XIII svolge i primi scavi regolari nella Domus Aurea, affidati alla direzione dell’architetto inglese O. Cameron. Nel 1774 l’antiquario romano Mirri fa sgombrare dalla terra sedici stanze, pubblicando un album di sessanta incisioni tratte dai disegni delle decorazioni eseguite da vari artisti.
XIX secolo: Negli anni 1811-1814 vengono effettuati gli scavi dell’architetto Antonio De Romanis, che esplora e libera dalla terra una cinquantina di stanze, pubblicando subito dopo una planimetria e una relazione delle scoperte.
XX secolo: Ad un secolo di distanza le ricerche vengono riprese da Antonio Munoz, direttore della Regia Soprintendenza ai Monumenti del Lazio e degli Abruzzi. Allo stesso si devono i lavori per la realizzazione del Parco del Colle Oppio, nel quale i ruderi delle Terme di Traiano vengono ambientati, con gusto piranesiano, all’interno dei giardini, trascurando completamente le strutture sottostanti neroniane.
Gli scavi nella Domus Aurea riprendono nel 1939, sotto la direzione della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, e successivamente negli anni 1954-1957. Nel 1969 la Soprintendenza Archeologica di Roma promuove l’esplorazione del piano superiore e avvia un programma di impermeabilizzazione delle volte. Agli inizi degli anni Ottanta la Domus Aurea viene chiusa al pubblico per consentire i lavori di restauro e di conservazione delle strutture e degli affreschi.
Il restauro
I motivi dell’intervento
Dall’inizio degli anni Ottanta, la Domus Aurea, fino a quel momento solo parzialmente aperta alla visita degli studiosi e degli specialisti, venne definitivamente chiusa per ragioni di sicurezza e di conservazione. Urgeva infatti eseguire immediati e accurati controlli sulla sicurezza statica delle strutture murarie, sullo stato di degrado delle pitture e degli stucchi, sui pericoli derivanti dalle acque piovane: venne quindi avviato un articolato programma di ricerca, a cura della Soprintendenza Archeologica di Roma e dell’istituto Centrale per il Restauro, finalizzato soprattutto all’individuazione dei criteri guida da porre alla base e degli interventi conservativi e delle realizzazioni di impianti per la sicurezza e l’illuminazione delle sale.
Gli specialisti, architetti, archeologi, storici dell’arte, restauratori, si trovarono a dover affrontare numerosi e complessi problemi, tra i quali:
le pitture, che apparivano ricoperte di una patina bianca compatta di sali, causata principalmente dalle infiltrazioni d’acqua esterna; a questa si aggiungevano strati di terra, sedimentazioni calcaree e danni causati da vari microrganismi;
le strutture murarie, visibilmente danneggiate dalle infiltrazioni di acque piovane, dalle radici degli alberi e dal terreno del giardino soprastante.
A ciò si aggiungeva l’eccezionale dimensione del complesso antico, formato da 150 stanze per la maggior parte coperte da volte a botte alte tra i 10 e gli 11 metri, che apparve straordinaria agli occhi dei contemporanei di Nerone e che appare straordinaria ancora oggi a noi. Le sperimentazioni dirette eseguite dall’istituto Centrale per il Restauro e dalla Soprintendenza Archeologica di Roma fra il 1983 e il 1986, relative al confinamento degli ambienti, al nuovo tipo di illuminazione artificiale e al controllo della dinamica dei fenomeni di degrado, hanno consentito l’acquisizione di dati certi, che sono stati posti alla base degli interventi di restauro successivi.