Altra
chiesa romana pressochè ignota ai più. Sorge a metà circa di via
della Lungara, e prende il nome dalla non lontana porta
Settimiana, eretta da Settimio
Severo e inglobata da Aureliano
nel recinto transtiberino delle mura cittadine, ricostruita,
nell'attuale aspetto, da papa Alessandro
VI.
La chiesa è di orgine assai antica, fatta risalire al tempo di Leone
IV (847-855), e dopo svariate vicende fu affidata nel 1620
alle Terziarie Francescane che vi realizzarono un monastero per le
"Convertite", cioè prostitute pentite, e una casa per le
malmaritate, donne che fuggivano da matrimoni infelici.
Tra il 1628 ed il 1664 le monache fecero ricostruire completamente la
chiesa ed il convento, ad opera dell'architetto Luigi Arrigucci, con la
collaborazione di Domenico Castelli, ma i lavori di realizzazione del
lungotevere, alla fine dell'ottocento, causarono la distruzione di larga
parte del convento (1887). Oggi, dal lungotevere, è visibile il
campanile romanico della chiesa (sec. XII) unica testimonianza
superstite del complesso medioevale, e sola torre campanaria a monofore,
di quel periodo, che si conservi a Roma.
L'interno della chiesa è a navata unica con volta a cassettoni. Sull'altar
maggiore S. Giacomo, tela attribuita a Francesco Romanelli,
pittore barocco. A destra del presbiterio memoria funebre di Ippolito
Merenda, avvocato concistoriale che contribuì alla ricostruzione della
chiesa nel 1628. La memoria, qui trasferita dal monastero, è opera di Gian
Lorenzo Bernini; vi è raffigurato uno scheletro che cerca si
spiegare il drappo su cui è l'iscrizione commemorativa,
aiutandosi con i denti.
Quasi di fronte a S. Giacomo, su via della
Lungara, è la chiesa di
S.
Croce delle Scalette, detta anche del Buon Pastore, costruita nel 1619.
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