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Villa dei Quintili
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A meno di 150 metri dopo i Tumuli degli Orazi, sulla sinistra, le fondamenta di alcuni sepolcri ci preannunciano la villa dei Quintili. Era una villa immensa, la più vasta fra tutte quelle del suburbio romano dopo villa Adriana. Era così grande; e le rovine così estese che nei secoli scorsi si pensava che qui fosse esistita addirittura una città, alla quale si dava il nome di "Roma Vecchia", lo stesso nome che hanno anche altre grandi ville del suburbio romano, come la villa dei Sette Bassi e la villa dei Gordiani. Gli imperatori potevano permettersi ville così grandi anche nel centro della città, come per esempio la Domus aurea di Nerone, estesa per circa 80 ettari, mentre fuori Roma, a Tivoli, la villa di Adriano raggiungeva i 120 ettari. L'estensione era quindi una cosa abbastanza normale per queste grandi ville del suburbio, specie se le famiglie erano di una certa importanza. Noi sappiamo che questa è la grandiosa villa privata dei due fratelli Quintilii, appartenenti ad una famiglia senatoria di antica tradizione, vissuti alla fine del II sec. d.C. Sappiamo che il complesso appartenne a loro dal ritrovamento nel 1828 di fistule plumbee con scritto: Quintilii Condianus et Maximus. I Quintili, ricchissimi proprietari terrieri, scrittori di opere di agrimensura e di argomento militare (come molti grandi personaggi della Roma dei primi due secoli dell'Impero), erano famosi per come andavano sempre d'accordo tanto che ebbero insieme importanti incarichi nell'Amministrazione imperiale. Grazie alla protezione dell'imperatore Marco Aurelio (l'imperatore filosofo, amante della pace e della letteratura, che tutti conosciamo per la statua sul Campidoglio) ebbero una carriera politica sfolgorante: furono governatori dell'Acaia (cioè della Grecia) e della Pannonia (l'attuale Ungheria) dove riuscirono a fermare tentativi di invasione dei Germani; insieme arrivarono addirittura alle cariche consolari nel 151 d.C., e sempre insieme furono mandati a morte dall'imperatore Commodo intorno al 182 d.C.. La via Appia, come anche la via Latina e le altre strade consolari che uscivano da Roma, era caratterizzata dalla compresenza dell'elemento funerario e di insediamenti abitativi e produttivi; ad esempio tale era anche il vicino Triopio di Erode Attico, ed un particolare curioso che riferisce Filostrato è un aperto contrasto tra Erode Attico e i Quintili all'epoca in cui "governarono insieme la Grecia". Come abbiamo visto a proposito degli Orazi e dei Curiazi, questo luogo al V miglio della via Appia era allo stesso tempo un luogo simbolico e storico di Roma, con l'importante caratteristica di permettere di arrivare rapidamente in città per le faccende politiche. Qui i Quintili decisero di godere dei loro ozi tranquilli di campagna. L'ozio degli antichi però non corrisponde al nostro far niente, bensì al dedicarsi ad attività fisica e intellettuale. L'ingresso principale è sulla sinistra del ninfeo; il prato era un grande giardino "a ippodromo", cinto fra 2 muri e sistemato a viali alberati con fontane, che portavano alla villa vera e propria che era in fondo verso l'Appia Nuova, dalla quale proseguiamo la nostra passeggiata salendo la strada che raggiunge la parte più importante della villa, con gli imponenti resti in laterizio che, da posizione elevata e altamente scenografica, dominano la via Appia Nuova; non si tratta di un podio artificiale ma della piattaforma creata dalla colata di Capo di Bove, che prende il nome dai festoni a bucrani nella parte superiore del Mausoleo di Cecilia Metella, dove si arrestò la colata di lava emessa dal Vulcano Laziale tra i 300 e i 200.000 anni fa. Questa struttura naturale dà un'imponenza alla villa che così era perfettamente visibile nello stesso tempo dalla via Latina e dalla via Appia Antica, e occupava probabilmente tutto il terreno da una parte all'altra. Qui ci sono vari complessi termali, più o meno grandi, questo è sicuramente il più grande ed anche probabilmente il più importante. Le terme sono una specie di marchio romano. Quindi nel nucleo delle terme di cui noi abbiamo due tra gli ambienti principali. Il grande edificio che vediamo di fronte a noi ospitava il primo di una serie di ambienti termali: è il calidarium, in un'aula altissima a pianta rettangolare. La stanza aveva grandi finestre rivolte a mezzogiorno per permettere alla luce del sole di riscaldare l'interno, dove una grande piscina era raggiungibile scendendo tre gradini. Noterete che la vasca (anche le Terme di Caracalla sono così) non è profonda, i romani non sono stati mai un popolo di grandi nuotatori, preferivano stare "a mollo" con i gomiti appoggiati ai gradini. L'acqua della piscina era riscaldata da un complesso sistema, di cui sono state trovate nel 1999 tre bocche dei praefurnia, piccole caldaie che producevano l'acqua e l'aria calda che passava sotto il pavimento; sotto al pavimento, sorretto da colonnine di mattoni, c'era infatti un'intercapedine. Nelle caldaie sono state trovate anche tracce, solamente le impronte, della testugo alvei, che letteralmente significa tartaruga della vasca, perché era una specie di semiglobo di bronzo incandescente che mantenuto dentro l'acqua teneva a temperatura alta, costante, l'acqua che poi veniva smistata nelle vasche. La cosa che colpisce sono questi grandi finestroni che davano la possibilità di vedere il bellissimo paesaggio esterno. Le finestre non potevano essere così aperte, e nell'intradosso dell'arco sono stati infatti trovati dei fori che probabilmente sono fori in cui venivano incastrati i telai delle finestre. Le finestre probabilmente erano fatte con un'intelaiatura di piombo diciamo in maniera ortogonale in modo da formare delle grate, su cui venivano applicate delle formelle di vetro. Andando invece nel corridoio per arrivare alla vasca, noterete che c'è un piccolo ambiente circolare che ha dei resti di pavimentazione in ardesia, lavagna, che è un tipico materiale delle zone riscaldate, degli ambienti riscaldati e quindi probabilmente un piccolo laconicum, una sauna; noterete che ai bordi dei muri ci sono infatti dei tubuli cioè dei tubi di terracotta, quindi l'aria calda non solo riscaldava il pavimento ma attraverso questi tubi che erano dentro i muri potevano riscaldare anche le pareti. La volta era probabilmente o a crociera oppure con una capriata di legno. Qui sono state trovate delle tessere di vetro, soprattutto azzurre e verdi. In effetti questi ambienti con acqua erano abbastanza incompatibili con gli affreschi e quindi per la decorazione delle vasche le pareti venivano foderate di lastre di marmo, di cui rimangono le impronte, oppure rivestite di mosaici L'appartamento, nelle cui pareti abbiamo ancora i due ordini di finestroni sovrapposti, viene collegato nella seconda fase edilizia (inizio III sec. d.C. ) al piano terra dell'edificio per mezzo di una stretta scala. E' atipico per esempio il calidarium rettangolare, ecco se per il frigidarium va bene normalmente una pianta rettangolare per il calidarium normalmente si adotta una pianta circolare perché il cerchio ovviamente indica una maggior raccolta quindi una maggiore possibilità di riscaldamento. A sinistra nel punto più alto vediamo il secondo ambiente termale: è un enorme edificio alle cui pareti si aprono grandi finestroni, con vista panoramica sulla via Latina. Il pavimento era rivestito in opus sectile marmoreum di cui restano numerosi frammenti di marmi pregiatissimi, importati dalla Grecia e dalla Turchia dai Quintili grazie alle cariche pubbliche esercitate in quei luoghi. Purtroppo durante il cantiere questi scavi sono stati "visitati", quindi serve un po' di immaginazione per vedere i due grandi dischi in granito, oppure queste losanghe di marmo cipollino (un marmo greco che è lo stesso delle colonne), mentre rimangono frammenti delle parti gialle di marmo tunisino. Adiacenti alla sala centrale, due stanzini ospitano le vasche per l'acqua fredda in cui si faceva il bagno seduti, com'era allora abitudine. La vasca sul fondo è ad esedra, quindi con una nicchia, e probabilmente da lì viene una statua che ora si trova a palazzo Torlonia in via della Conciliazione e che si chiama Arianna addormentata o Ninfa giacente; questo altro lato ha invece una vasca rettangolare. Le colonne accanto al frigidarium hanno una storia piuttosto divertente perché vennero utilizzate per abbellire il teatro Torlonia, che è il Teatro Apollo che si trovava a Tor di Nona che fu arredato, progettato dall'architetto Valadier, quindi siamo nel 1800.Quando dopo il 1870 si decise di creare gli argini del Tevere, tutti gli edifici che insistevano nel percorso vennero demoliti, quindi si tolsero rapidamente gli arredi e vennero portati chissà dove. Queste colonne hanno trovato una sistemazione provvisoria nel chiostro michelangiolesco delle Terme di Diocleziano (che è da poco riaperto) si perse la memoria che quelle colonne erano queste del frigidarium. Solamente in tempi recenti, proprio grazie alle ricerche e agli interessamenti degli archeologi che hanno lavorato qui, sono state riconosciute nel chiostro accatastate nel chiostro tra tante altre colonne, tanti altri marmi, le colonne del frigidarium dei Quintili e quindi grazie a loro sono state ricollocate in loco dove vedete sono ancora. Siamo evidentemente di fronte ad un'architettura monumentale, che attesta un'assoluta padronanza della tecnica laterizia e del calcestruzzo; pareti e finestre sono colossali, e grazie alla tecnica della volta a crociera era possibile costruire anche tre piani. Ecco considerate che quando i Romani fondano una città, 2 sono gli edifici sempre presenti: le terme e l'anfiteatro. Quindi le terme rappresentano un simbolo della loro cultura. Le terme sono un concetto, un'idea greca come indica il nome ma i romani la importano e la rielaborano quindi non solo costruendo degli edifici razionali e non a pianta confusa ma inserendo oltre alle attività del corpo anche quelle della mente, quindi un concetto più ampio, molto più completo. Allora i Romani si inventano una cosa molto importante, cioè le terme, almeno a partire da Tito ma probabilmente anche Nerone già con le terme su a Colle Oppio, e quindi siamo alla fine del I sec. d.C. inventano degli edifici che si basano su 2 principi: assialità e simmetria. Assialità significa che gli ambienti delle vasche, quindi quelli più importanti, si dispongono su un medesimo asse. La simmetria invece presuppone che delle strutture siano speculari tra di loro quindi tanto si trova a destra quanto si trova a sinistra questo è esemplare proprio nelle Terme di Caracalla che a Roma sono le terme che meglio conservano l'impianto termale e questo veniva fatto per smaltire il più velocemente possibile il maggior numero di utenti senza che ci fosse differenza fra le 2 parti: chi utilizzava i servizi a destra era sicuro che a sinistra sarebbe stato la stessa cosa. Nelle Terme dei Quintili invece, in queste grandi che noi vediamo, ciò manca completamente, cioè questi edifici sono messi in maniera piuttosto confusa, caotica e senza un ordine apparente e quindi abbiamo un calidario, un frigidario; la natatio, cioè la piscina, manca almeno per il momento fino a che gli scavi probabilmente non la ritroveranno nuovamente, mancano gli elementi di raccordo almeno sono sottoterra, noi non li conosciamo, quindi apparentemente qualche cosa di assolutamente atipico. Poi abbiamo questa struttura (c.d. Teatro Marittimo) vi dicevo piuttosto simmetrica e manca la natatio, quindi ci si aspettava di trovare la natatio almeno vicino e invece come vedete la natatio non c'è perché questa struttura circolare è un'altra cosa ancora e adesso scendiamo e andiamo a vedere. Questa struttura circolare che vedete qui è stata variamente interpretata si può pensare che sia una natatio però probabilmente non lo è, insomma la piscina che si cerca. Oppure, secondo alcuni, per questa forma circolare, poteva essere un piccolo anfiteatro, visto che Commodo aveva questa mania per i giochi, però anche questo è assolutamente atipico, non ci sono gradinate, non c'è una forma ellettica, insomma è abbastanza strano. Ecco recentemente si è pensato che questa struttura circolare sia invece un viridarium. Il viridarium è un giardino per essenze aromatiche, normalmente si coltivavano delle piante ornamentali particolari non piante comuni, che doveva avere un corridoio anulare probabilmente e all'interno questo interro. Ecco questo dove noi calpestiamo adesso è un piano fittizio perché c'è l'interro che è stato coperto in questa maniera quindi che vi indica un luogo ancora non scavato. I bolli laterizi che sono stati trovati sulle strutture, ci orientano verso un periodo diciamo severiano, quindi siamo al confine tra la fine del regno di Commodo e gli imperatori successivi, quindi fine del II e inizio III sec. d.C.. Troverete sulle guide il nome di Teatro Marittimo cioè viene comunemente identificato così: Teatro Marittimo perché vuole ricordare in qualche modo il luogo analogo che si trova a Tivoli a Villa Adriana, che presenta un'analoga forma circolare, un analogo percorso anulare, solo che a Tivoli come probabilmente sapete, all'interno c'è una piscina, quindi c'è una vasca d'acqua con un isolotto galleggiante che era il buon ritiro dell'imperatore, cioè nello spazio suo, c'era il più suo, proprio personale, lo spazio che lui non condivideva con nessuno. Le fonti ci dicono che Adriano nei momenti di cattivo umore o quando voleva stare da solo, si ritirava nel suo isolotto, tirava dietro di sé il ponte di legno in modo che nessuno poteva infastidirlo. Il Teatro Marittimo innanzitutto anche a Tivoli è un nome convenzionale e non appropriato e, siccome la forma è più o meno simile, è stato così chiamato ma vi dicevo che più probabilmente era più un giardino dalle stanze ornamentali che sempre comunque aveva la vista sullo spazio sempre rialzato, quindi sullo spiazzo circostante. Dietro troviamo una grande piazza pavimentata in marmo e fiancheggiata da un criptoportico, che introduce nel settore residenziale, impostato intorno ad sala ottagonale, la cui pianta assomiglia ad una croce greca orientata secondo gli assi cardinali, e che forse era adibita a triclinio invernale; il locale era infatti riscaldato per mezzo di un sofisticato sistema di intercapedini in cui passava aria calda, sia sotto il pavimento che alle pareti. Gli appartamenti padronali sono divisi in una parte privata con le stanze da letto (i cubicola) e in una parte più di rappresentanza, dove si tenevano i festini con gli ospiti. Questa parte della villa dovrebbe risalire alla prima metà del II sec. d.C. (I fase edilizia). I ruderi che si vedono a sinistra dovrebbero appartenere ad un ninfeo collegato, attraverso un complesso sistema di canalizzazioni sotterranee, a cisterne ed ambienti termali. Quindi questa grande struttura che voi vedete è una piazza rettangolare di 36 x 12 metri, è stata scavata negli anni '80 dall'Università di Tor Vergata (i loro scavi si sono concentrati soprattutto qui). Una volta liberata questa specie di grande zona aperta, si pensò nuovamente che fosse la piscina (loro l'avevano identificata con la piscina). Invece oggi, la Sovrintendenza archeologica che ha scavato ultimamente, pensa probabilmente che era una zona aperta, quindi un luogo di riunione, che aveva una funzione appunto di incontro per la zona di rappresentanza che era questa, con gli ambienti che si dispongono sul lato. Se conoscete un po' la Domus Aurea, la parte ovest (che attualmente è chiusa al pubblico) è organizzata con un grande cortile rettangolare che funge proprio da centro aggregante di tutte le stanze che gli stanno intorno. Quindi si è pensato che la funzione potesse essere analoga. Quindi questa era la zona di rappresentanza, lì dietro quella balaustra, quella struttura voltata che probabilmente avete notato sotto, è una cisterna, così come una cisterna è quella, quindi vi dicevo l'acquedotto poi depositava l'acqua in punti strategici e grazie a tubi poi questa acqua veniva portata negli ambienti che ne avevano bisogno, quei ruderi che vedete lì probabilmente sono altre terme, così come delle piccole terme private si trovano qui sotto, cioè dove erano gli ambienti privati dei Quintili e dell'imperatore Commodo. Quindi la struttura in questo modo, per quello che si conosce, è abbastanza chiara: zona di rappresentanza, zona privata e grandi terme, ovviamente in questa posizione. Su quel lato, dove vedete quel pavimento bianco, la decorazione era con lastre di marmo. Lì c'è un bellissimo pavimento fatto a losanghe di marmo bianco con cornici di marmo rosso che noi vediamo raso per cui non riusciamo a percepire i colori però è fatto così, analogamente a certi pavimenti di Villa Adriana che invece al posto del marmo bianco hanno l'alabastro, quindi strutture molto più ricche. Tra terme e ninfeo la villa aveva proprio bisogno di tanta acqua ed infatti era alimentata da un acquedotto privato le cui arcate si vedono bene percorrendo l'Appia Nuova subito prima del Grande Raccordo Anulare. L'acqua era derivata dall'Acquedotto Marcio, e delle grandi cisterne dentro la villa formavano una riserva. Proseguendo lungo la via Appia, si vede una casa colonica che in realtà è una cisterna antica, poi sopraelevata nel XIII secolo con una struttura in tufelli, che raccoglieva l'acqua di riserva per la fontana; accanto un lungo muro era appunto l'acquedotto. Prima di raggiungere il ninfeo consideriamo che sono state trovate tracce di un ippodromo, quindi una forma analoga a quella del Circo Massimo per intenderci, ma in realtà non era un vero e proprio ippodromo era più che altro un giardino a forma di ippodromo che doveva avere sui lati probabilmente le statue che lo dovevano abbellire. Questa struttura si trova per esempio come confronto anche a Villa Adriana il c.d. Ippodromo è un giardino a forma di ippodromo e più vicino a noi al Palatino nella Villa di Domiziano il c.d. Stadio è probabilmente un giardino a forma di stadio o di circo. Finalmente abbiamo raggiunto il ninfeo della villa. Il grande muraglione che si affaccia sulla strada però non è antico, essendo costruito nel medioevo con materiale di reimpiego (come quelle pietre bianche che si vedono sul fondo) L'ingresso vero e proprio è questo qui fra questi due plinti, dove si vede lo zoccolo del muro, sopra ci saranno state due colonne, insomma un bel portone fastigiato poi si entrava e iniziava il parco, ci saranno stati viali che portavano alla villa lì in fondo. Il ninfeo della villa è formato da un ampio emiciclo con una nicchia sul fondo e un bacino sul davanti, fiancheggiato da due sale termali con zampilli d'acqua e marmi pregiati, nicchie e colonnato. Questa grande fontana aveva una funzione scenografica che doveva dare subito l'idea a chi passava, anche se non conosceva la famiglia, delle persone privilegiate che abitavano qui dentro; ma anche ad uso del viandante, per bere, per riposarsi, con la cascata d'acqua, e dimostra una intenzione politica perché qualificava sin dal primo sguardo l'importanza dei proprietari. Interrata dovrebbe esserci una sala a tre absidi, dove è stata trovata una statua di Ercole, che indica la presenza di un tempietto, forse dove si vedono dei muretti affioranti. La parte originaria è quella in opera listata, a filari alterni di mattoni e di tufelli. C'era fatto una grande abside centrale con delle nicchie e due corpi laterali, poi un arcone alla sommità di copertura a semicalotta; dalle grandi absidi di fondo uscivano cascate d'acqua, e in basso l'acqua si raccoglieva nella vasca di cui rimane solo il nucleo in calcestruzzo. Davanti alcune colonne formavano un "propileo", di cui rimane la colonna accanto all'ingresso attuale e un pilastrino; quindi l'ingresso era costituito da tre passaggi monumentali che portavano al ninfeo; il tutto era rivestito di marmi, con statue, decorazioni varie. Questa struttura non appartiene però al tempo dei Quintilii perché è una tecnica costruttiva del IV secolo (quindi del tempo di Costantino). Il ninfeo come lo vediamo oggi si deve alla trasformazione in castelletto nel medioevo (analogamente a quanto successe a Cecilia Metella che diventa il Castrum Caetani): quel calcestruzzo nerastro ed anche i muri di fronte appartengono al castello medioevale. Il castello dipendeva dai conti di Tuscolo, che tra il IX e il XI secolo erano padroni di mezzo Lazio. Il grande muraglione è il recinto di chiusura del castelletto, in alto a sinistra c'era una torre che controllava il traffico lungo la strada. Alla fine il castello passò agli Astalli o forse ai Caetani; all'interno del cortile un portichetto con capitelli formava una loggia con balconata, nella quale si svolgeva la vita della piccola corte del XII-XIII secolo. La villa era così monumentale che il figlio di Marco Aurelio, cioè l'imperatore Commodo, se ne volle impossessare. Commodo diventa imperatore nel 180 d.C., e viene descritto come un uomo perverso, crudele, circondato di persone vili, avendo esautorato il Senato di tutti i suoi poteri. Per appropriarsi della villa accusò i due fratelli di cospirare contro di lui e li condannò a morte. La sentenza fu eseguita nel 182 d.C. per strangolamento. Si racconta che quando i Quintili erano governatori dell'Acaia, un oracolo predisse che sarebbero morti per strangolamento ma che il figlio sarebbe vissuto a lungo per le terre dell'Impero. Quando loro furono strangolati il figlio di uno dei due fratelli, che allora era in Siria, simulò un suicidio bevendo sangue di coniglio e vomitandolo, tuttavia alla fine del regno di Commodo un pretendente che affermava di essere il figlio dei Quintili per entrare in possesso dei loro beni fu smascherato, quindi anche il vero figlio doveva aver fatto una brutta fine. Rivali in vita, Erode Attico e i Quintili sono accomunati dalla sorte toccata ai loro possedimenti: dopo la morte, la villa dei fratelli Quintili entrò nel demanio imperiale, nel quale confluiva anche la proprietà di Erode Attico. Del periodo di Commodo (fine del II sec. d.C.) sono facilmente riconoscibili vari ampliamenti. Commodo amava molto trascorrere le giornate in questa residenza perché era lontana da Roma, era un luogo ameno, c'era l'aria buona, era verde, era grande, era bella. Si racconta che durante una carestia il popolo romano si sollevò contro l'Imperatore; da Roma arrivò fin qui una gran massa di persone affamate che urlando, sbraitando, si spinse fin contro il portone sulla via Appia Antica; fatto sta che Commodo non si accorse di nulla perché si era ritirato nella parte privata più interna; allora il comandante della guardia, un liberto favorito di Commodo che si chiamava Leandro, fece caricare la folla con i pretoriani. Ma la folla inferocita avanzò fin sotto il palazzo, e solo allora Commodo, che fino a quel momento non si era accorto di nulla, spaventato, fece uccidere Leandro e lo gettò in pasto alla folla che lo trascinò per le vie di Roma, mentre Commodo continuava a godersi tranquillamente la sua villa. Soprattutto nella villa c'era c'era abbondanza di acqua, che alcuni hanno messo in relazione con una delle grandi manie di Commodo: le fonti ci dicono che l'Imperatore faceva il bagno circa 7/8 volte al giorno e spesso non da solo, ma piuttosto in mezzo a una corte di fanciulli e fanciulle che gli tenevano compagnia. L'altra grande mania era l'anfiteatro, e lui stesso si faceva chiamare Ercole romano perché nell'anfiteatro aveva ucciso dei leoni come Ercole che uccise il leone di Nemea (la sua prima fatica): ai Musei Capitolini, nella sala degli arazzi c'è il busto di Commodo vestito da Ercole. Quando Commodo muore, la struttura passa ai Severi e quindi ai Gordiani, che nel III sec d.C., modificano alcune strutture come si deduce dall'analisi dei bolli laterizi. La villa pare che sia durata fino alle invasioni gotiche del VI secolo, ricevendo migliorie, rifacimenti e manutenzioni, dopo di che non se ne sa più nulla fino al 1400, quando la villa, in rovina, veniva chiamata villa dello statuario per l'abbondanza di statue; nel 1600-1700 era invece chiamata la "Roma vecchia". Gli scavi di una certa importanza sono quelli del 1700 effettuati da Pio VI per incrementare il fondo del museo Pio Clementino; altri scavi di rapina (che non erano animati da scopi scientifici ma dal desiderio di appropriarsi dei capolavori che si trovavano sottoterra) vennero effettuati dai Torlonia a partire dal 1797 per adornare la villa sulla via Nomentana. Nel 1828-29 che gli scavi di Nibby ritroveranno le fistule di piombo con il nome dei Quintili, permettendo finalmente di attribuire con certezza la proprietà della villa. E' grazie all'acquisto nel 1986 da parte dello Stato che sono stati possibili scavi più scientifici e moderni, prima da parte dell'Università di Tor Vergata e ora da parte della Soprintendenza Archeologica di Roma; attualmente la villa è attrezzata per le visite per un'estensione di circa 24 ettari, che comunque costituisce solo una parte dell'estensione originaria, visto che sono stati trovati dei nuclei anche nelle proprietà private confinanti con questa. Prima di uscire possiamo visitare l'Antiquarium, che nelle stalle del casale dei Quintili espone i pezzi trovati durante gli scavi più recenti. Nelle vetrine sulla parete di destra vediamo dei pezzi che provengono dagli scavi del 1929, al centro c'è una grande statua di Zeus trovata tra gli anni 1925-26, sulla parete di sinistra invece ci sono degli oggetti che provengono da questi ultimissimi scavi, quindi 1997-1999, che hanno permesso l'apertura del sito. Entriamo. Nelle vetrine della parete di sinistra sono esposti i pezzi trovati al VII miglio della via Appia Nuova, nell'incrocio con l'Appia Pignatelli. Le statue erano ammassate insieme, in un luogo che probabilmente era una calcara: le calcare erano delle fornaci nelle quali i pezzi di marmo erano cotti e trasformati in calce, ed erano frequenti nel medioevo nei luoghi dove il marmo era facilmente reperibile, come poteva essere questa una villa. Addirittura nel '400 la villa era conosciuta come "villa dello statuario", proprio per i continui rinvenimenti di statue che in origine decoravano i vari ambienti. Alcuni di questi pezzi hanno la superficie del marmo deteriorata, evidentemente a causa del processo di calcinazione già avviato. Va sottolineato che le statue sono quasi tutte destinate al culto, e dovevano provenire da un santuario annesso alla villa dei Quintili che non è stato identificato. Le statue appartengono a due gruppi: le statue che raffigurano divinità classiche, olimpiche (per esempio Ercole), e quelle che raffigurano divinità orientali. Tra le prime, riconosciamo Asclepio nella statuetta che ha il serpentello accanto al piede; per le seconde, in un'altra vetrina, vediamo due personaggi con il classico abbigliamento dell'Asia minore: i pantaloni e il cappello con la punta floscia; i due personaggi sono Cautes e Cautopates, cioè i due compagni con la fiaccola, uno alzata e uno abbassata, che indicano il percorso solare e che si trovano associati al culto di Mitra (divinità appunto orientale molto diffusa a Roma). La statua acefala con tutte quelle mammelle è una delle tante riproduzioni della famosa Artemide di Efeso; si tratta di una divinità molto antica, signora degli animali (infatti ha un abbigliamento di animali feroci e stringe fra le braccia due leoni) e dea della fertilità e dell'abbondanza (le mammelle alludono a questo aspetto materno). Le due statue di alabastro di cui resta solamente la parte centrale sono attribuite a Iside a causa del particolare modo di legare la veste sotto il petto. Infine, la lastra in fondo dovrebbe raffigurare Astarte, la divinità fenicia che viene rappresentata con le ali sopra un leone un crescente (?) solare in testa. E' importante notare come nello stesso santuario convivano divinità tradizionali greche o romane e divinità "esterne"; questo perché la civiltà romana era multirazziale, multietnica, e la grande estensione territoriale era possibile solo a condizione di una grande tolleranza. Quindi anche nella villa dei Quintili si tollerava che nello stesso edificio di culto ci fossero divinità straniere accanto a quelle tradizionali. La presenza di divinità orientali si spiega anche per l'origine dell'Asia minore dei Quintili. Evidentemente il loro seguito, i lavoranti che si erano poi stanziati nella villa, avevano il permesso di continuare a venerare gli antichi dei accanto a quelli che trovavano a Roma: un interessante aspetto sincretistico. Proseguendo incontriamo due statuette, di Zeus bronton (in latino Jupiter tonans), cioè Giove tonante. Zeus bronton è una divinità associata alle acque, connessa con il culto agricolo e pastorale; il modellino di bue che vediamo era probabilmente un ex-voto. Zeus bronton non si trova frequentemente in Grecia ma piuttosto nell'Asia minore; ancora una volta le statue sono arrivate qui probabilmente insieme alle persone che seguivano i Quintili. Le due statue del tempio sono state trovate nella pars rustica, cioè nella zona dove erano gli impianti produttivi e abitava la servitù; sono probabilmente delle copie in scala che presero a modello la bellissima statua al centro della stanza, trovata invece nella zona padronale. Se confrontiamo questo modello con quello di Giove capitolino (Jupiter capitolinus), la più importante divinità del pantheon romano che si trovava sul Campidoglio, troviamo delle somiglianze e delle differenze. Per esempio, la classica iconografia di Giove padre è questa con il dio seduto sul trono, la mano destra appoggiata sulla gamba, e la mano sinistra che regge lo scettro, il capo leggermente inclinato, in atto benevolo verso gli uomini e gli dei. Ciò che rende differente questa statua è il supporto: Zeus è seduto non sul trono ma sulla roccia. La roccia indica l'elemento naturale e quindi una relazione più diretta con la divinità. Dall'altra parte dell'Antiquarium ci sono pezzi trovati sparsi; tra questi molto interessante è il disco di alabastro mancante della parte superiore, perché nella parte inferiore si legge abbastanza bene la parola "IcJuV", che in greco significa pesce. Mentre per i greci Ixthus era una parola come un'altra, per i cristiani è una parola importante perché è l'acrostico con le iniziali di GESU' CRISTO FIGLIO DI DIO SALVATORE. Nelle catacombe si trova molto spesso l'immagine del pesce. Il disco, che proviene da alcuni scavi settecenteschi, è stato studiato dal De Rossi, il famoso archeologo delle catacombe cristiane, il quale riferisce che nella parte superiore oggi scomparsa si leggeva in latino LIORUM. Il De Rossi interpretava il frammento come QUINTILIORUM, congetturando che i Quintili fossero dei cristiani, e magari per questo erano stati uccisi da Commodo. L'ipotesi, per quanto suggestiva, è priva di qualsiasi fondamento storico. Le altre vetrine in fondo raccolgono oggetti, decorazioni delle stanze, intonaci, lastrine di marmo, tracce di affresco provenienti dalle ultime campagne di scavo (anni 1998/99). Alcuni frammenti di intonaco presentano nel retro le tracce delle incannucciate, il che ci fa sapere che erano attaccati al soffitto; i soffitti erano costruiti cementando un graticcio di vimini, al quale erano fissati intonaci o stucchi per mezzo di chiodini. Accanto ci sono dei contenitori di colore per affresco, probabilmente gli strumenti che servivano all'artista per dipingere. Più in alto ci sono degli esempi di opera sectile, particolare lavorazione utilizzata dai romani in cui delle lastrine di marmo, sagomate e intagliate, andavano a comporre figure geometriche o floreali o altro ancora. L'opera sectile caratterizza i pavimenti delle case molto ricche, con marmi pregiati che presentano di vari colori e sfumature. In Italia i Romani conoscevano la sola cava di Carrara, che produceva marmo di buona qualità ma solo di colore bianco; tutti i marmi colorati o i marmi bianchi di diverse tonalità erano importati dalla Grecia, dall'Asia o dall'Africa. Al costo della lavorazione altamente specializzata si aggiungeva quindi un notevolissimo costo di trasporto e quindi è per questo che l'opus sectile è sinonimo di ricchezza. Ne vedremo anche degli esempi all'interno della villa. Oggetti che nei musei sono in genere poco considerati ma che invece sono molto utili agli archeologi sono questi bolli laterizi, marchi che venivano impressi sui mattoni o sulle tegole, spesso con il nome del proprietario dell'officina o dell'imperatore; in base al bollo si può datare la struttura, e si è visto che l'arco di vita della villa va dal 123-125 d.C., (tarda età adrianea) fino alla metà del III sec. d.C. (periodo dei Gordiani). Poi ci sono invece 2 esempi di fistulae acquariae, i tubi di piombo che servivano per portare l'acqua. L'acqua era una componente decisiva e fondamentale della villa e dopo il rinvenimento nell'800 di una di queste fistule si è capito che la villa apparteneva ai Quintili mentre prima si brancolava un po' nel buio per l'attribuzione corretta. Per ultimo ammiriamo il bellissimo capitello trovato fra il Teatro Marittimo e gli ambienti termali; rappresenta due leogrifi (creature fantasiose metà leoni e metà aquile) affrontati, e la loro particolarità è questa sapiente lavorazione, che sfrutta le venature alternate blu e bianche del marmo proconnesio; si data intorno al II-III sec. d.C. ed è un pezzo unico, non se ne conoscono altri tranne un capitello trovato a Leptis Magna (in Africa) che comunque presenta alcune differenze. |