Questa
casa, costruita sulla base di una torre del XII secolo, fu eretta da Niccolò,
figlio di Crescenzio e di Teodora. Fu costruita dai Crescenzi per controllare
gli antichi moli di Roma e il ponte
Emilio dove la potente famiglia romana riscuoteva un pedaggio.
L'edificio era a due piani (oggi ne resta quello al pianterreno ed una parte del
superiore) e, secondo l'uso dell'epoca per palazzi e chiese, presenta numerosi
elementi di architettura romana (, probabilmente i resti di
un "bagno" bizantino: la sovrapposizione di stili ed elementi
architettonici risulta evidente dai capitelli in cotto sulle semicolonne del
lato sinistro, dalle mensole con amorini, dal cornicione con le mensole ai resti
di muro a sbalzo, che denotano numerose ristrutturazioni dell'edificio. Il
popolo la chiamò Tor Crescenzia, per quel misto di palazzotto e fortilizio,
anche se la torre crollò nel 1312, quando la costruzione servì da caposaldo
nel corso degli scontri avvenuti in occasione dell'arrivo di Enrico VII: dopo
tali fatti rimase in piedi soltanto la casa. Una lunga ed interessante epigrafe
moraleggiante, dettata dallo stesso Niccolò di Crescenzio, è posta sopra la
porta d'ingresso: dal termine "mansio", contenuto appunto in questa
epigrafe, si originò il soprannome di Tor Monzone, con il quale la casa fu
indicata.
La casa ebbe anche altri epiteti, come "casa di Cola di
Rienzo", dalla somiglianza con il nome di Niccolò di Crescenzio oppure
per il fatto che Cola di Rienzo nacque nelle vicinanze, e "casa di Pilato",
perché in occasione della rappresentazione della via Crucis qui si raffigurava
la casa di Pilato. Fu abbandonata nel Quattrocento, visto che non si notano
rifacimenti posteriori; in seguito venne usata come stalla con annesso fienile.
Nel 1868 venne riscattata dal governo pontificio e poi ceduta al Comune di
Roma, che la restaurò ad uso uffici.
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