La scoperta dell'Auditorium di Mecenate avvenne casualmente nel 1874,
nel corso dei lavori per l'apertura della nuova via Merulana e
dell'adiacente Largo Leopardi (nella zona precedentemente occupata dalla
Villa Caetani). L'aula absidata che fu allora riportata alla luce faceva
parte di un complesso assai più ampio, disposto a cavallo delle Mura
Serviane, che fu subito demolito.
Si conservò invece il cosiddetto auditorium, un'aula absidata lunga
complessivamente m 24.20, della quale si possono distinguere quattro
parti: una sorta di vestibolo a sud-est, che ha l'aspetto di una sala
rettangolare larga m 13,20 e lunga m 5,70; l'aula vera e propria, larga
m 10,50, lunga 13,20; l'esedra a gradini, il cui raggio è di m 5,30;
infine, la doppia rampa di accesso, a sud-ovest, larga m 2,27. Il
complesso, che anche in antico era semisotterraneo, è costruito
interamente in reticolato di tufo di modulo piuttosto piccolo (cm 6,5) e
quindi relativamente antico. Tre ingressi permettevano di accedere al
vestibolo: quello a sud, ancora utilizzato, si apriva sulla rampa,
mentre gli altri due (quello di fronte al primo, a est, e quello al
centro della facciata, a sud-est, connesso con una scalinata), richiusi
dopo lo scavo, mettevano l'aula in comunicazione con gli ambienti
circostanti. La copertura doveva essere a volta, a giudicare almeno dal
grande spessore dei muri (m 1,93). Forse in essa erano ricavate alcune
aperture, come sembrerebbe dimostrato dai resti di vetri da finestra
scoperti al momento dello scavo. All'esterno dovevano emergere solo la
volta e la sommità dei muri.
Nella sala rettangolare si aprono sei profonde nicchie per parte - tra
di esse si notano alcuni restauri antichi in mattoni -. La decorazione
pittorica, assai ben conservata al momento della scoperta, è oggi in
parte svanita. Le pareti sono dipinte in rosso; sopra le nicchie corre
un fregio a fondo nero, alto 27 centimetri, con figure di animali
dipinte a colori più chiari. L'interno delle nicchie era decorato con
riproduzioni realistiche di giardini. Nell'angolo ovest si possono
riconoscere due pavimentazioni successive: Quella originaria, realizzata
in fine mosaico con due strisce rosse, e quella più tarda, in lastre di
marmo giallo antico e bigio. A quest'ultimo si sovrappone un ampliamento
in mattoni dell'esedra, che quindi è ancora successivo. L'esedra è
occupata da sette gradini molto stretti, il più basso dei quali ha
inizio a m 1,10 dal pavimento. Come si è detto, essa fu ampliata più
tardi con un muro in mattoni largo 80 centimetri. I gradini erano
coperti di lastre di cipollino, delle quali restano tracce. Al di sopra
di essi si aprono cinque nicchie, meno profonde di quelle della navata,
anch'esse decorate da pitture di giardino, sotto le quali corre un
fregio a fondo nero con figure di animali e di cacce, a continuazione di
quello della navata. La parte alta della navata stessa e dell'esedra era
decorata con ampie campiture e sottili candelabri vegetalizzati.
L'edificio, nella sua prima fase, è databile verso la fine della
Repubblica, mentre la decorazione pittorica di terzo stile (simile a
quella della Villa di Livia a Prima Porta) appartiene alla seconda fase,
di piena età augustea. Il complesso va certamente identificato con una
parte della villa di Mecenate sull'Esquilino.
Sappiamo da Orazio e dai suoi commentatori che per la costruzione di
questa villa fu ricoperto il malsano cimitero dei poveri, che allora
occupava questa zona dell'Esquilino, e venne parzialmente livellato l'Agger
delle Mura Serviane. Sulla facciata verso la via Leopardi sono infatti
ancora incastrati alcuni blocchi di tufo di Grotta Oscura, che
appartenevano alle mura repubblicane. Anche la data di costruzione
dell'edificio con quella della Villa di Mecenate, che si deve porre tra
il 40 e il 30 a.C. L'identificazione è definitivamente confermata dalla
scoperta, accanto all'edificio, di una fistula acquaria di piombo con il
nome di Cornelio Frontone; sappiamo infatti (Epistola I, 8) che questo
celebre maestro di retorica dell'età adrianea era venuto in possesso
degli Horti Maecenatis, evidentemente cedutigli dall'imperatore. Alla
sua morte, Mecenate aveva lasciato la sua villa ad Augusto. Certamente
allora furono eseguiti gli affreschi di terzo stile: forse al momento in
cui Tiberio, di ritorno dal suo esilio di Rodi, nel 2 a.C., andò ad
abitarvi.
Quanto alla funzione dell'ambiente, non è forse del tutto da scartare
l'originaria identificazione con un auditorium o un odeon, anche se i
gradini sembrano un po' piccoli per ospitare degli spettatori seduti. La
presenza di un'iscrizione con i primi due versi di un epigramma di
Callimaco, in cui si accenna al convito, ha fatto anche pensare che si
trattasse di una cenatio, sala da pranzo estiva. L'ipotesi più
comunemente accettata, considerata la situazione semisotterranea
dell'edificio e il carattere della decorazione, è che si tratti di un
ninfeo: si è pensato anche che le gradinate servissero per sorreggere
vasi da fiori.
Gli horti di Mecenate sono i più antichi realizzati sull'Esquilino, a
spese dell'antica necropoli della città: essi costituivano
probabilmente un ampliamento del più antico possesso del potente
"ministro" di Augusto, situato più a sud, dove più tardi
furono costruite le terme di Traiano. I limiti ne erano dunque compresi
tra queste ultime, la Porticus Liviae e il clivus Suburanus, mentre non
è chiaro fino a che punto essi si estendessero a est delle Mura
Serviane. A est degli Horti Maecenatis furono successivamente creati gli
Horti amiani, probabilmente a opera del console del 3 d.C., L. Elio amia,
passati in seguito a Caligola, che vi abitava sovente; adiacenti erano
gli Horti aiani, poi passati a Nerone, che vi fece esporre un suo
gigantesco ritratto dipinto su lino che, secondo Plinio il Vecchio (N.H.,
XXXV, 51), misurava ben 120 piedi (m 35). Gli Horti Lamiani si
dovevano estendere a nord fino all'altezza di Piazza Vittorio Emanuele;
a essi doveva appartenere la Diaeta Apollinis, conosciuta da
un'iscrizione, e nella quale erano forse esposte le statue dei figli di
Niobe, uccisi da Apollo e Latona, scoperte nei paraggi di Piazza
Vittorio (ora conservate al Museo degli Uffizi, a Firenze).
Recentemente, la PyDiaetaPy è stata identificata con un grandioso
complesso, scoperto dagli scavi della fine dell'800 tra Piazza Dante e
via Emanuele Filiberto e in seguito demolito.
Un cippo di limitazione, trovato al suo posto tra via Principe Umberto e
la stazione Termini, permette di localizzare con precisione gli Horti
Lolliani, creati forse da M. Lollio, console nel 21 a.C., o da sua
figlia Lollia Paullina.
Sempre all'inizio dell'Impero si devono attribuire gli Horti Tauriani,
proprietà della potente famiglia degli Statilii Tauri. Anche in questo
caso, la scoperta di un cippo di confine, che segnava il limite tra i
primi e gli Horti Calyclani, permette di riconoscerne nella via Mamiani
il limite nord. Essi si dovevano estendere moltissimo a est, lungo la
via Labicana, fino all'attuale PortaMaggiore: a giudicare almeno dalle
tombe dei liberti della famiglia, trovate immediatamente all'interno
della porta. Entrambi nel demanio imperiale all'epoca di Claudio, i
giardini passarono successivamente ai due ricchissimi liberti di Claudio
e Nerone, Pallante ed Epafrodito (e assunsero così il nome di Horti
Pallantiani, più a nord, nei pressi della via Tiburtina, e Horti
Epaphroditiani, da collocare immediatamente a ovest della Porta
Maggiore). Nel corso del periodo giulio-claudio, quindi, tutti questi
giardini finirono col passare al demanio imperiale, formando così un
unico, immenso parco, che andava a collegarsi con le altre proprietà
imperiali del Quirinale e del ncio. E' questo il caso, ad esempio, degli
Horti Liciniani, appartenenti all'imperatore Gallieno, che dovevano
occupare l'area a nord della via Labicana, compresa entro le Mura
Aureliane: l'iscrizione dedicata all'imperatore, incisa sulla Porta
Esquilina, indica forse che quest'ultima era divenuta una sorta
d'ingresso ai giardini, di cui fa parte il grande edificio decagono,
noto con il nome di "Tempio di Minerva Medica".
L'urbanizzazione dell'Esquilino alla fine del secolo scorso ha
restituito una enorme quantità di opere d'arte, appartenenti a queste
ville, la maggior parte delle quali è esposta nel Museo dei
Conservatori, sul Campidoglio. |