Tra gli
anni 1936 e 1937 nell'area dell'antico Foro Boario venne scoperta una
platea quadrata a blocchi di tufo all'interno della quale vennero
individuati gli avanzi di due celle, un ambiente sotterraneo, due grandi
are in peperino, pozzi sacri e pavimentazioni a più strati che
indicavano una stratigrafia complessa.
La scoperta più importante è quella dei resti di un tempio arcaico
sotto l'abside della chiesa di S. Omobono.
Questo tempio è il più antico esempio di tempio di tipo tuscanico in
ambiente romano, databile nella prima fase alla metà del VI sec.,
rifatto dopo qualche decennio con tutto il suo apparato decorativo e
distrutto poi alla fine del VI sec. a.C.
Il tempio è largo m.11,54; è a pianta quadrata di 36 piedi di lato su
alto podio dì tufo, l'altezza del podio è di m.1,61, l'altezza del
muro della cella è di m.4,70, l'altezza totale del tempio doveva essere
di m.7,50 circa.
L'accesso frontale era costituito da una scala
larga 7 piedi con 7 gradini. Il tempio aveva un pronao retto da due
colonne frontali a cella unica separata da alae. A questa prima fase
sembrano appartenere le placche decorative frontonali a forma di felino.
Il tempio primitivo venne distrutto probabilmente da un incendio e
ricostruito, sempre nell'ambito della seconda metà del VI sec. a.C.,
con l'aggiunta di un contropodio, largo 80 cm. A questa fase appartiene la maggior parte delle terrecotte e delle
lastre di rivestimento.
Completa la struttura templare la presenza di un'ara in blocchi di tufo,
antistante il tempio. Il luogo era dedicato alla Mater Matuta, divinità che compare nella
decorazione del tempio e legata alla zona dell'emporio sul fiume.
Secondo il racconto mitologico infatti, Leucotea, dea di origine tebana,
approdò con l'aiuto delle Naiadi sulle rive del Tevere, assumendo il
nome di Mater Matuta insieme al figlio Portunus, al quale è dedicato un
piccolo tempio nella stessa zona, più esattamente all'imbocco del
ponte Emilio.
Il santuario,
posto sul limitare dell'area portuale, è di conseguenza da mettere in
relazione. con l'arrivo travagliato di Leucotea-Mater Matuta con il
piccolo Portunus. La dea mantiene infatti in ambiente laziale il carattere di protettrice
della navigazione. Significativo in questa area di S. Omobono è l'aspetto rappresentato
dalla cultura scritta, testimoniato dalla presenza di oggetti iscritti
che spesso sono presenti nei santuari, soprattutto in luoghi vivaci per
scambi quali dovevano essere gli empori antichi.
Alla fine del VI secolo a C. il tempio di Mater Matuta venne distrutto
in seguito alla cacciata dei Tarquini da Roma. Il tempio fu seppellito
da terre, scaricate all'interno del nuovo podio. Su questo podio, formato da un muro di grandi blocchi di peperino, alto
in tutto circa 4 metri, vengono ricostruiti, agli inizi del V sec. a.C,
i due templi accoppiati, ma distinti, ognuno con una sua cella in
blocchi di cappellaccio, dedicati a Fortuna, quello occidentale e a
Mater Matuta, quello orientale. I due templi vennero distrutti da un incendio nel 212 a.C. e
ricostruiti alla fine del III sec. a.C. E' attestata una ricostruzione
in età adrianea con pavimento e strutture templari in travertino.
Probabili restauri dell'area con inserimento di tabernae sul retro, sui
lati e sulla fronte del tempio vennero intrapresi in età seveniana. Nel VI sec. una chiesa paleocristiana si insedia nel tempio pagano; nel
XII - XIII sec. la chiesa viene restaurata con esecuzione di una nuova
pavimentazione di tipo cosmatesco. Nel 1482 la chiesa viene ricostruita e nominata S. Salvatore in Porticu,
finché nel 1700 viene dedicata definitivamente ai SS. Omobono e
Antonio.
Nel 1940 la chiesa viene isolata restaurata e ripavimentata.
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